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Montefalco Sagrantino Docg

Pubblicato da disciplinare

La Docg Montefalco Sagrantino deve essere ottenuto dalle uve provenienti dai vigneti composti esclusivamente dal vitigno “Sagrantino”.

La zona di produzione comprende i terreni vocati alla qualità dell'intero territorio del Comune di Montefalco e parte del territorio dei Comuni di Bevagna, Gualdo Cattaneo, Castel Ritaldi e Giano dell'Umbria ubicati nella provincia di Perugia.

Informazioni sulla zona geografica.
1. Fattori naturali rilevanti per il legame.
La zona geografica delimitata dall’ art. 3 del disciplinare di produzione del Montefalco ricade in provincia di Perugia al centro dell’ Umbria, e abbraccia l’ intero territorio comunale di Montefalco e parte dei comuni di Bevagna, Giano dell’ Umbria, Gualdo Cattaneo e Castel Ritaldi. Si tratta di un areale produttivo molto piccolo con terreni che digradano dolcemente lungo i profili collinari che portano la fascia altimetrica di coltivazione dai 220 m. s.l.m. ai 472 dei rilievi collinari più elevati presidiati da antichi borghi medievali. La pendenza degli appezzamenti vitati e l’esposizione generale è variabile, tanto da creare un ampio ventaglio di microclimi e condizioni di coltivazione.
L’ areale di produzione è caratterizzato – dal punto di vista pedologico – da 4 sottozone riconducibili a:
- Conglomerati fluvio – lacustri: Sabbie gialle con livelli di conglomerati lacustri talora cementati (Plio-Pleistocene). Se ne hanno notevoli affioramenti tutt’attorno a Montefalco e cioè a S. Clemente, Camiano, Turrita, Cerrete, Pietrauta, il Vallo nonché a S. Quirico;
- Argille e Sabbie lacustri: Argille ed argille sabbiose lacustri (Plio-Pleistocene), si incontrano sotto Limigiano, subito a sud-ovest do Bevagna, a Bastardo, Cantinone e a sud di Turrita fino a Torregrosso.
- Alluvioni: Alluvioni attuali, recenti e del terrazzo più basso, prevalentemente sabbio-ciottolose (Olocene), che coincidono con le superfici di pianura con un’estensione (in senso trasversale) da poche centinaia di metri a qualche chilometro (come a Cantalupo, Bevagna, La Bruna), e depositi
più antichi dei terrazzi sopraelevati da 5 a 50 metri circa sull'alveo attuale (Pleistocene) come a sudovest di Montefalco (Madonna della Stella).;
- Marne: Vaste aree, sia pur meno interessanti in senso produttivo, presentano affioramenti di rocce di età miocenica; si evidenziano arenarie giallastre e marne siltose grigiastre, solitamente in regolare alternanza tipiche della Formazione Marnoso – Arenacea (del Tortoniano - Langhiano), ed altri litotipi similari (Bisciaro). Vi sono anche arenarie riferibili alla formazione del Macigno (Langhiano - Oligocene), livelli e lenti, di variabile estensione e potenza, argille siltose grigiastre, marne (tipo Scisti policromi), calcari, calcareniti e calciruditi (tipo Nummulitico) Lo spessore dello strato esplorato dalle radici scende progressivamente, passando dai suoli su alluvioni a quelli su argille, sabbie ed infine su turbiditi e conglomerati, da oltre 150 a meno di 70 cm.
Lo Spessore del “solum” cala parallelamente restando, però, abbastanza elevato (≥ 55 cm). Il Colore allo stato secco: passa gradualmente dal grigio chiaro (nei suoli su argille) al giallo brunastro (nei suoli su sabbie) per arrivare al bruno scuro in alcuni terreni su alluvioni antiche e su marne mioceniche.
Il colore del terreno umido mostra variazioni parallele ma più contenute rispetto al dato precedente.
Iindipendentemente dal substrato la struttura prevalente è poliedrica angolare medio-grossolana
negli orizzonti profondi e sub-angolare fine in quelli superficiali.
La densità apparente presenta un massimo di 1,65 al passaggio tra B e C ed un minimo di 1,35 in Ap.
I terreni su alluvioni sono sempre privi di scheletro, quelli sugli altri materiali ne contengono scarse quantità (valore massimo 6 %) e di pezzatura minuta, mentre i relativi substrati ne possiedono fino al 75 % e di pezzatura media o grossolana.
Tessitura della terra fine: dominano le tessiture franco-fini, più esattamente le franco-limose nei suoli evoluti sugli affioramenti marnosi, le franco-argillose su quelli alluvionali terrazzati (in questi
ultimi i substrati sono però franco-sabbiosi) e franco-limo-argillose ed argillo-limose sui terreni dei versanti argillosi e sabbioso-conglomeratici.
Circa le caratteristiche idrologiche, come prevedibile, si riscontra un parallelismo tra Capacità di Campo e Punto di Appassimento particolarmente stretto: i valori minimi appartengono, per entrambe le caratteristiche, a suoli su alluvioni (rispettivamente 24,4 e 10,6 espressi come % in peso) ed i massimi ai suoli su substrato argilloso (33,5 e 20,1 %). Infine, i valori della capacità per l’acqua utilizzabile risultano tutti compresi in un ristretto intervallo: i valori medi dei gruppi sono dall’11 % nei terreni su sabbie e conglomerati, 12 % di quelli su marne e 14 % in quelli su argille ed alluvioni.
Il contenuto in CaCO3: risulta sempre assai abbondante: 12 – 22 % nei terreni su sabbie e 11 – 25% sui terreni su argille, mentre presenta valori intorno al 20 % negli altri gruppi; negli orizzonti profondi, generalmente, i valori aumentano fino a superare il 30 %.
Il Calcare attivo presenta valori comunque elevati che vanno dal 5,5 al 9,2 %.
A causa dell’abbondanza di carbonati finemente suddivisi la Reazione si mantiene sempre nel campo di un’alcalinità a volte pronunciata (7,8 – 8,2), con minimi sui terrazzi alluvionali e massimi sulle argille.
La Sostanza organica è presente in quantità notevoli, variabili dall’1,5 al 2,2 %, superando spesso l’1% anche a 1 m di profondità, in relazione all’omogeneizzazione subita dal suolo in seguito alle lavorazioni.
Si osservano dotazioni di Fosforo assimilabile e potassio scambiabile assai elevate nei terreni sugli affioramenti miocenici (max: 43 e 404 ppm rispettivamente) mentre su tutti gli altri substrati si hanno dati meno confortanti con oscillazioni molto ampie: i valori variano tra 10 e 28 ppm per il fosforo e 130 e 344 ppm per il potassio).
Si registrano valori di Magnesio e boro scambiabili da 129 ppm a 219 ppm (entrambi nei suoli su
sabbie) per il primo e da 0,5 ppm su marne a 0,9 ppm su argille per il secondo.
La Capacità di Scambio Cationico mostra valori compresi tra 14,3 e 31,5 meq/100 g con i seguenti valori medi: 20 – 31,5 meq/100 g per terreni su sabbie e conglomerati, 16 meq/100g su alluvioni, 15,5 meq/100 g per i terreni su turbiditi e da 14,3 a 30,5 meq/100 g per quelli su argille.
Il clima della città di Montefalco e delle colline circostanti è di tipo continentale. In base alla media trentennale di riferimento 1961–1990, la temperatura media del mese più freddo, gennaio, si attesta a +3,8 °C; quella del mese più caldo, luglio, è di +25,3 °C.
Le precipitazioni medie annue si aggirano ai 700 mm, mediamente distribuite in 89 giorni, con un
minimo relativo in estate ed un picco in autunno. La neve fa la sua apparizione circa sette volte l'anno in città, e a volte gli accumuli sono anche abbastanza consistenti. In media ci sono 40 giorni di gelo all'anno.


2. Fattori umani rilevanti per il legame.
Di fondamentale rilievo sono i fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito ad ottenere il vino “Montefalco Sagrantino”.
C’è stato un tempo in cui alla vite di Sagrantino, nei territori di coltivazione, non erano riservati terreni particolarmente estesi.
Pur nella consapevolezza di costituire un prodotto di altissima qualità, tanto da essere gelosamente custodito e conservato per poi essere centellinato durante i pranzi delle grandi ricorrenze religiose, il Passito di Sagrantino non aveva mercato, proprio perché relegato al ruolo di vino delle grandi occasioni da consumare in casa.
Nonostante la limitata produttività delle viti di Sagrantino rispetto ad altri vitigni, non c’ era contadino che trascurasse di far crescere nella vigna il prezioso vitigno dai piccoli grappoli dai neri, minuscoli, dolcissimi chicchi, da far passire sui graticci di canne (le camorganne) fino a Natale per poi sgranarli manualmente e premerli in torchi di ridotte dimensioni, lasciando invecchiare il dolce nettare per almeno due anni.
A Montefalco erano numerosissime le case sui cui muri rampicavano i tralci di Sagrantino (piérgole), un abbellimento che rendeva gustoso l’appuntamento con eventi familiari di particolare importanza e che consacrava la tavola in occasione del Natale e della Pasqua.
All’ interno delle cinta murarie, negli antichi Monasteri di Santa Chiara e di San Leonardo sono sempre state allevati vecchi vitigni di Sagrantino a ribadire la sacralità di un vino già sacro nel nome oltre che nel sapore.
Già Plinio il Vecchio parla di un'uva detta "Itriola" che dà un vino particolarmente pregiato nel territorio di Montefalco.
Sembra che tale uva non sia identificabile con l'attuale Sagrantino che più probabilmente è stato portato attorno al XIV - XV secolo a Montefalco dai frati francescani di ritorno dai loro viaggi di predicazione in Asia Minore.
Ma sono i documenti d’ archivio ritrovati che gettano una prima, significativa luce sulla coltivazione di tale vitigno e sull’impiego delle uve di Sagrantino. Il più antico documento pervenutoci in cui si comincia a trattare di vigne è dell’anno 1088, ma la menzione per ora più antica sulla coltivazione dell’uva “sagrantina” a Montefalco risale al 1549 ed è documentata da un
ordine di mosto di Sagrantino da parte dell’ebreo Guglielmo, mercante di Trevi e di sua moglie Stella (A. TOAFF, Il vino e la carne. Una comunità ebraica nel Medioevo, Bologna 1989, p. 97 e nota 65).
Il Prof. Gabriele Metelli (ARCHIVI IN VALLE UMBRA, Nn. 1-2 Giugno/Dicembre 2002, pp. 51- 52-53), oltre alla citata menzione, scrive: ”Per quanto concerne il sagrantino, un contratto di lavoreccio del 30 aprile 1575 fa riferimento a quattro vitigni coltivati nel folignate e precisamente
in località San Vittore… :
ASF, Notarile 531, G.Poggi, 30 aprile 1575, c. 26v: …salvis et reservatis pro dictis locatoribus in totum quattuor pergulis sagrantini existentibus in dictis petiis terrarum…
Due anni prima il Prof. Francesco Guarino pubblicò nella citata rivista, di cui è Direttore, un’altra significativa testimonianza rinvenuta in un libro di ricordi di famiglia del giurista assisano Bartolomeo Nuti, che nell’agosto 1598 scrive:
”Un altro modo di fare il vino rosso è in Foligno. Se metta in una botte, o carrato sagrantino, o, uva negra sgranata quanto pare un poco acciaccata et se riempia de mosto ciò che sia et se lassi così.”
I documenti acquisiti inducono, almeno per ora, a fare due considerazioni, la prima in ordine al nome Sagrantino già consolidato nel 1500; la seconda in riferimento all’uso delle uve di Sagrantino destinate alla governa dei vini rossi per conferire loro più aroma, più colore e più sapore.
Sappiamo che i ceti nobili del 1500 amavano imbandire le mense di vini pregiati in occasione del ricevimento di personaggi illustri. Tra i vini pregiati figurava anche il vino rosso di Montefalco, come risulta da una raccolta di rendiconti (1541-1654) sulle spese sostenute dal Comune di Foligno per accogliere degnamente gli ospiti di particolare riguardo.
A comprendere come sia nato il nome Sagrantino può aiutarci la radice latina sacer e, forse, la sua prima destinazione. Vino sacro perché vino della festa religiosa, dei momenti da ricordare nello scorrere della vita domestica, e tradizionalmente da intendersi sempre nella forma passita. E’ solo in un’ esauriente relazione generale della mostra Regionale di Vini ed Olii tenutasi a Montefalco tra il 13 ed il 20 Settembre 1925 che viene citata per la prima volta la versione del “Sagrantino Asciutto”, ovverossia vinificato a secco, presentato a concorso dal Senatore Rolandi Ricci, allora proprietario della storica Cantina Scacciadiavoli. Si tratta dell’ antesignano del vino oggi più conosciuto, studiato e lanciato in commercializzazione solo a partire dai primi anni del 1970. 
Il riconoscimento della DOC è arrivato nel 1979 (D.P.R. 30 Ottobre 1979) e da ultimo grazie alla sua reputazione nazionale ed internazionale è stato riconosciuto con la massima qualificazione della DOCG (Decreto Ministeriale 5 novembre 1992). A seguito di tale provvedimento si è reso necessario rivedere il disciplinare del 1979 con un aggiornamento approvato con DM 31 Luglio 1993, concernente la sostituzione del disciplinare di produzione della denominazione di origine controllata dei vini “Montefalco”.Con Decreto Ministeriale 1 Settembre 2009 è stato approvato il nuovo disciplinare del Montefalco Sagrantino, che viene aggiornato con provvedimenti tesi all’ulteriore miglioramento della qualità di questo vino autoctono che si fregia per antonomasia del concetto di identità territoriale. Il Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, ha inteso difendere tale unicità del vino autoctono di Montefalco limitando l’ uso del nome Sagrantino alla sola Docg Montefalco Sagrantino con un apposito Decreto Ministeriale (20 Giugno 2002).
L’incidenza dei fattori umani, nel corso della storia, è in particolare riferita alla puntuale definizione dei seguenti aspetti tecnico produttivi, che costituiscono parte integrante del vigente disciplinare di produzione:
base ampelografica dei vigneti: Il vino a denominazione di origine controllata e garantita "Montefalco Sagrantino" deve essere ottenuto dalle uve provenienti dai vigneti composti esclusivamente dal vitigno “Sagrantino”;
I sesti di impianto, le forme d'allevamento ed i sistemi di potatura devono essere quelli atti a conseguire la migliore qualità o, comunque, atti a non modificare le caratteristiche delle uve e dei
vini. Predilige sistemi di allevamento di media espansione, con potatura medio-lunga. Il nuovo disciplinare prevede per i nuovi impianti, la produzione massima per ceppo in 2,5 chilogrammi; per i nuovi impianti ed i reimpianti, effettuati dopo l'entrata in vigore del presente disciplinare, la densità minima di impianto dovrà essere di 4.000 ceppi per ettaro e, la distanza tra i filari non dovrà superare i 2,50 metri lineari.
le pratiche relative all’elaborazione dei vini, sono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione in rosso dei vini tranquilli, adeguatamente differenziate per la tipologia Montefalco
Sagrantino “secco” e “passito”. Si fa comunque riferimento a vini rossi strutturati, la cui elaborazione comporta lunghi periodi di invecchiamento (anche con l’ obbligo di passaggi obbligatori in legno per la versione “secca”) ed affinamento in bottiglia obbligatori.


B. Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente attribuibili all'ambiente geografico.
La DOCG “Montefalco Sagrantino” è riferita a 2 tipologie di vino rosso (“Secco” e “Passito”) che dal punto di vista analitico ed organolettico presentano caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6 del disciplinare, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico.
Il colore è rosso rubino intenso, talvolta con riflessi violacei e tendente al granato con l'invecchiamento.Le caratteristiche organolettiche che ne risultano sono: per il secco odore delicato, caratteristico, che ricorda quello delle more di rovo; il sapore è asciutto, armonico. L’aroma è molto persistente al naso con tipici sentori di more di rovo, prugna e cuoio che si legano perfettamente con la vaniglia data dal legno. Il gusto è possente, morbido e vellutato. Il Sagrantino è un vino da lungo invecchiamento grazie al suo corredo di antiossidanti naturali: almeno 10-15 anni. 
Nel passito il colore è rosso rubino carico, talvolta con riflessi violacei e tendente al granato con l'invecchiamento, mentre l’ odore è delicato, caratteristico che ricorda quello delle more di rovo; sapore: abboccato, armonico, gradevole.


C. Descrizione dell'interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B).
A rendere questo vino unico non è solo la composizione, ma anche la zona in cui le uve nascono e raggiungono la maturità, lentamente, anche in condizioni meteorologiche avverse. Forse, proprio le difese che questo vitigno ha sviluppato per mantenere l’uva intatta nelle condizioni climatiche che si instaurano all’inizio dell’autunno, sono responsabili dei caratteri del vino. La buccia spessa e ricca di tannini, ad es., rappresenta una barriera agli attacchi delle muffe e di altri parassiti. Solo a completa maturità i tannini, che rappresentano la struttura intorno a cui si evolve il vino, completano le trasformazioni che porteranno alla diminuzione dell’astringenza propria della loro natura.
Occorre l’opera dell’uomo per renderli più scorrevoli in bocca e quest’opera, complessa, richiede impegno ed esperienza. Il successo pieno può essere raggiunto solo quando, con la maturazione dell’uva, essi raggiungono una struttura adatta che viene percepita in bocca come volume, come sensazione di vellutato. Quello che sorprende è il fatto che altri vini, con un tenore in tannini molto minore, danno in bocca, a volte, una sensazione di maggior astringenza e sono meno versatili all’evoluzione che si realizza con l’affinamento.
Nel suo areale di coltivazione l’uva di Sagrantino si esprime bene in tutti i terreni, anche in quelli profondi e freschi, producendo ovviamente vini con caratteristiche diverse ma comunque di ottimo livello qualitativo. Nei terreni argillo-calcarei raggiunge livelli ottimali di maturazione fisiologica, ottimizzando il contenuto in sostanze polifenoliche. Teme le carenze di magnesio o gli eccessi di potassio. Predilige forme di allevamento compatte ad elevata o elevatissima densità (cordone speronato e guyot). Sulle forme di allevamento tradizionali produce eccessivamente e ritarda la maturazione
Da tutto l’ areale delimitato ai sensi dell’ art.3 sono esclusi i terreni ubicati nei fondovalle non adatti ad una viticoltura di qualità.
Anche la tessitura e la struttura chimico-fisica dei terreni interagiscono in maniera determinante con la coltura della vite, contribuendo all’ottenimento delle peculiari caratteristiche fisico chimiche ed organolettiche del “Montefalco Sagrantino”. 

VITIGNI

SAGRANTINO N. (MAIN)
Sagrantino

 

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