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Sovana Doc

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Categoria : Disciplinari, Vini, Doc, Dop Argomenti : Sovana, disciplinare, doc, dop, vino, toscana, grosseto

Sovana Rosso, Sovana Rosso Superiore, Sovana Rosso Riserva e Sovana Rosato: Sangiovese: almeno il 50%.
Sovana Aleatico Superiore, Sovana Aleatico Riserva, Sovana Aleatico Passito e Sovana Aleatico Riserva Passito  : Aleatico: minimo 85%.
Sovana Cabernet Sauvignon Superiore e Sovana Cabernet Sauvignon Riserva: Cabernet Sauvignon: minimo 85%.
Sovana Ciliegiolo Superiore e Sovana Ciliegiolo Riserva: Ciliegiolo: minimo 85%.
Sovana Merlot Superiore e Sovana Merlot Riserva: Merlot: minimo 85%.
Sovana Sangiovese Superiore e Sovana Sangiovese Riserva: Sangiovese: minimo 85%.
La zona di produzione delle uve atte alla produzione dei vini Doc Sovana è collocata all’interno della provincia di Grosseto e comprende per intero i comuni di Pitigliano, Sorano e parte del comune di Manciano.

La zona geografica delimitata ricade nella parte meridionale della regione Toscana e, in particolare, nel lembo sud-orientale della provincia di Grosseto, in un territorio a giacitura collinare e pedecollinare che comprende l’intero territorio comunale di Pitigliano e di Sorano e parte di quello del comune di Manciano.
I terreni dell’area, relativamente all’origine geologica, sono caratterizzati da superfici strutturali su formazioni costituite prevalentemente da rocce effusive e vulcanoclastiche mentre, a ovest del fiume Fiora, prevalgono forme di aggradazione su formazioni prevalentemente marnose, marnoso-pelitiche e pelitiche. Le formazioni quaternarie antiche e recenti, con conglomerati di sabbia, detriti fluviali, ciottoli con argille e sabbia, affiorano dovunque nella parte centrale della zona, lungo i corsi d’acqua e nella fascia collinare a ovest di Manciano. L’area è caratterizzata da rilievi da bassa a medio-alta collina. Al centro del comprensorio delimitato, nei comuni di Pitigliano e Sorano, sono presenti vaste zone di altopiano; in quest’area, la quasi totale presenza di rocce di tufo vulcanico – originate da eruzioni che si sono succedute in tempi diversi, molto lontani fra loro e con diversa consistenza della lava – hanno formato una crosta rocciosa più o meno compatta e di coerenza molto variabile, in molti punti incisa da profonde erosioni provocate dall’azione del vento e delle acque piovane, talvolta delle vere e proprie voragini alla base delle quali scorrono ruscelli e torrenti affluenti dei fiumi Albegna e Fiora, creando un paesaggio suggestivo.
La quota media è di 290 metri s.l.m., con un’altitudine minima di circa 30 metri in località Marsiliana e massima di circa 800 metri in località Elmo nel comune di Sorano, mentre la pendenza oscilla intorno al 5%; l’esposizione media è a sud-est.
Il clima dell’area è di tipo mediterraneo, con temperature miti e precipitazioni disordinate, talvolta anche di elevata intensità, concentrate soprattutto nei mesi autunnali-invernali (massimo della piovosità localizzato tra la fine di ottobre e la prima decade di dicembre, col mese di novembre caratterizzato dai valori più elevati), mentre nel periodo compreso tra gennaio e maggio la pioggia è distribuita in maniera un po’ più omogenea con valori comparabili, che diminuiscono progressivamente dalla seconda decade di maggio, fino a raggiungere un minimo assoluto tra la prima e la terza decade di luglio, tanto che si può parlare di un’aridità di regola prolungata nella primavera e spesso accentuata nei mesi estivi. Possono essere considerate due prevalenti condizioni climatiche, e cioè quella dell’area di Pitigliano-Sorano, con temperatura media intorno a 14°C e precipitazioni intorno a 920 mm/anno e quella dell’area di Manciano, situata più a ovest verso il mare, con temperatura media di 14-14,5°C e precipitazioni medie di
750 mm/anno. Può essere quindi considerato un valore medio di precipitazioni annue intorno agli
820-870 mm, con un minimo di 24 mm nel mese di luglio (dato medio) e un massimo di 126 mm
nel mese di novembre (dato medio), e una temperatura media annua di 14-14,5°C; l’indice di
Huglin si attesta tra 2.100 e 2.500 unità, a seconda dell’area considerata.
Le estati sono per lo più siccitose e le condizioni di aridità sono accentuate dai venti che soffiano
con frequenza soprattutto dal terzo al quarto quadrante; in particolare, nella primavera soffiano
venti di Scirocco e di Libeccio (nelle aree più prossime al mare piuttosto carichi di salsedine),
mentre nell’estate soffia il Maestrale che, sebbene provenga dal mare, è asciutto, regolando di
fatto la temperatura; in inverno non è raro, invece, che soffi, anche in modo violento, la Tramontana, soprattutto nel comprensorio di Pitigliano e Sorano.


A.2. Fattori umani rilevanti per il legame.
I fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito
a ottenere i vini di «Sovana», sono di fondamentale rilievo. In quest’area, infatti, esistono
testimonianze della coltivazione della vite che risalgono al periodo etrusco, greco e romano –
l’antica città etrusca di Statonia, nella parte orientale della zona di produzione, le città etrusche di Sovana e di Saturnia, più a ovest, l’area di Poggio Buco, nella parte meridionale, sono solo alcuni esempi di insediamenti più o meno rilevanti – come testimoniano alcuni reperti; in particolare, presso Marsiliana lungo il corso del fiume Albegna, è stato rinvenuto un numero  consistente di vasellame e pithoi (recipienti particolari per la raccolta del vino proveniente dalla pigiatura delle uve e dai torchi), probabilmente poiché il luogo corrispondeva a un vero e proprio
centro di raccolta per i vini che provenivano dalle aree più interne (colline di Manciano, Pitigliano e Scansano), trasportati lungo il corso del fiume; nelle necropoli di Vitozza e Sovana, invece, sono state rinvenute cantine scavate direttamente nel tufo, e un esempio ancor oggi chiaramente visibile lo si ha visitando la fortezza Orsini a Sorano. La dominazione romana accentuò la  tendenza al miglioramento delle tecniche di vinificazione, che rimasero insuperate fino al medioevo; in questo periodo storico, la vite acquistò particolare importanza come pianta colonizzatrice, tanto che governanti e feudatari riconobbero la necessità di concedere terre adatte per questa coltura, che ebbe particolare protezione con apposite norme statutarie. Negli Statuti della Comunità del Cotone le norme stabilite per la protezione delle viti e dell’uva erano molto severe, tanto che stabilivano perfino una multa di 10 soldi per ciascuna bestia grossa entrata a  far danno in “vigne o chiuse di olivi da calende di marzo fino a Ognissanti”.
La tradizione vitivinicola del territorio pitiglianese e soranese ha continuato a trasmettersi nei secoli, passando attraverso le vicissitudini della famiglia Aldobrandeschi e, più tardi, con la scissione di questa famiglia nei due rami di Sovana e Santa Fiora, con quelle degli Orsini, fino alla lunga guerra che questi ingaggiarono con Siena conclusasi, nel 1410, con l’annessione definitiva di Sovana ai domini di Siena, e il conseguente spopolamento di Sovana a favore delle vicine Pitigliano e Sorano.
Fin da epoche lontane, tutti coloro che sostarono nell’antica cittadina di Pitigliano per traffici e 
azioni militari, ebbero modo di apprezzare e gustare i vini ottenuti in quella zona, conservati in vasi vinari nelle profonde e fredde grotte di tufo.
Studiosi di ogni tempo riconobbero i pregi delle uve di questo territorio e l’eccellenza dei vini prodotti.
Il dott. Villafranchi-Giorgini, nel 1847, in una memoria letta alla Società Agraria Grossetana, affermava che esisteva all’Orto Botanico di Pisa un tronco di vite alto 5 braccia (metri 2,92) e della circonferenza di 4 (metri 2,30) proveniente da Valle Castagneta.
L’enotecnico Luigi Vivarelli, in una memoria pubblicata nel 1906 su “La vite e il vino nel mandamento di Orbetello” riferiva che “nel 1787 un turbine svelse una vite nel podere di Valle Castagneta (comune di Sorano) il cui tronco, misurato dal Prof. Santi aveva una circonferenza di metri 1,76 e lo stesso professore nel 1793 ne vide un’altra che aveva uguali dimensioni”.
Parlando quindi di sistemi di allevamento della vite lo stesso Vivarelli scrive ancora: “nel nostro
mandamento è raro il caso di trovare la vite disposta ai lati dei campi, ma invece vi predomina la
vigna specializzata e quindi la consociazione è pratica quasi sconosciuta….. Sarebbe utile piano
piano, sostituire il filo di ferro alle canne giacchè esso permette una notevole economia…… La forma di potatura più in uso presso i nostri viticoltori, mi pare sia quella a cornetti con 5 o 6 occhi; non è certo un metodo sbagliato, ma ho l’opinione che si potrebbe con maggior vantaggio
introdurre la potatura Guyot”.
Giacomo Barabino nel suo studio pubblicato nel 1884 sullo sviluppo dell’agricoltura, dell’industria e del commercio nella provincia di Grosseto, scriveva “I vini di Magliano, di Pereta e di Scansano, sono eccellenti e in pochi luoghi il vino si produce di qualità così squisita come nei vigneti di Manciano, Pitigliano e di Sorano. Il vino che si produce presso Scansano assomiglia alquanto a quello del Chianti”.
Il dott. Alfonso Ademollo, in una relazione all’inchiesta parlamentare Jacini, tenendo conto della vocazione viticola della Maremma, nel 1884 affermava che tutte le varietà “vegetano bene nel nostro suolo”. L’Ademollo, nel fornire interessanti informazioni sulla situazione viticola della provincia, così scriveva: “La vite ha sempre allignato, fino dalle epoche più remote, nella  provincia di Grosseto. Le varietà di vite da noi conosciute e coltivate sono molte, poichè si può asserire che tutte le varietà di sì prezioso sarmento, anche le esotiche, vegetano bene nel nostro
suolo…… Le vigne pure da qualche tempo si sono estese ed hanno migliorato nel proprio prodotto, ma tuttavia anche per questo lato la provincia di Grosseto sarebbe capace di più,  poichè la vite cresce benissimo e porge preziosi e squisiti grappoli in ogni parte della provincia, perchè non abbiamo veramente nè caldi nè freddi eccessivi,….. perchè dovunque trovasi terreni leggeri, permeabili, aridi nelle parti elevate, dovute a sabbie, a rocce decomposte, a detriti vulcanici e sassaie”.
Da ciò la categorica affermazione: “La provincia di Grosseto, per cinque sesti ha terreno adatto
alla viticoltura”.
Parlando dei pregi e dei difetti del vino prodotto nella zona lo stesso Ademollo così si esprimeva:
“II vino, questo benefico liquido che ha tanta importanza nella pubblica e privata economia, come nella pubblica e privata salute, viene prodotto dai nostri viticoltori con sempre crescente progresso e accuratezza in ogni parte della provincia di Grosseto, sia nella zona piana, che in quella montuosa, e per la bontà e quantità in alcuni Comuni è di una rendita importante ai proprietari…… Attualmente la maggior quantità di vino viene data dai comuni di Pitigliano, Sorano, Massa Marittima e Roccastrada i quali sono pure dotati di buone Cantine per conservarlo
specialmente i primi due, fabbricati come sono nella lavorabile tufa vulcanica”.
Nel periodo storico successivo, caratterizzato da due eventi bellici e da un ventennio di dittatura
politica, la situazione viticola della zona pitiglianese e soranese ha seguito le sorti dell’agricoltura in genere, il cui obiettivo principale era quello di conseguire un’economia di consumo e la piena occupazione della mano d’opera. In tale periodo, la viticoltura non era certamente florida, in quanto legata all’immobilismo, alla polverizzazione delle proprietà diretto coltivatrici e alle diffuse forme di conduzione mezzadrile, sfavorevoli all’espansione della specializzazione viticola, tanto che nella prima metà del Novecento la superficie vitata non subisce in questa zona profonde modificazioni.
Nei decenni successivi, invece, si moltiplicano le iniziative di molti proprietari – aiutate e incentivate anche dall’applicazione della riforma fondiaria e dall’opera dei tecnici agricoli – intese a sviluppare una viticoltura più razionale, anche con la diffusione di nuove cultivar nei territori collinari più facili. Ma l’espansione viticola, se non accompagnata dal perfezionamento della tecnica vinicola e quindi della qualità dei vini prodotti, creava notevoli problemi di organizzazione e diffusione dei vini stessi, anche a causa della disponibilità di modeste partite, dalle caratteristiche poco omogenee anche se pregiate.
Un contributo decisivo alla risoluzione di questi problemi è stato dato dalla realizzazione nel 1954 della Cantina Sociale di Pitigliano, con lo scopo di raccogliere e trasformare la produzione viticola del comprensorio circostante e che rappresenta una circostanza importante per la nascita dell’industria enologica, alfine di presentare sul mercato vini uniformi, di tipo costante, migliorati nella qualità e standardizzati nella presentazione.
Più tardi, anche alcune pubblicazioni scientifiche del settore, occupandosi dei vini ottenuti su questo territorio, apportarono un contributo importante alla loro valorizzazione; “Vini tipici e pregiati d’Italia” di R. Capone, edito nel 1963, illustra proprio le caratteristiche dei vini di Pitigliano.
Più tardi, anche alcune pubblicazioni scientifiche del settore, occupandosi dei vini ottenuti su questo territorio, apportarono un contributo importante alla loro valorizzazione; “Vini tipici e pregiati d’Italia” di R. Capone, edito nel 1963, illustra proprio le caratteristiche dei vini di Pitigliano, soffermandosi non solo sui rinomati vini bianchi, ma illustrando anche le caratteristiche dei rossi, da sempre prodotti in questa zona utilizzando, a partire dagli anni ’80, le indicazioni geografiche transitorie autorizzate dal Ministero dell’Agricoltura, quali “Saturnia” e “Sorano”.
Furono questi i presupposti che portarono alla consapevolezza che il territorio della Maremma
sud-orientale poteva aspirare al riconoscimento della denominazione di origine controllata per i
vini rossi prodotti nella zona, che verrà attribuito col decreto ministeriale 20 maggio 1999 per i
vini «Sovana» (rettificato, con modifica di alcuni articoli del disciplinare, con decreto ministeriale del 12 novembre dello stesso anno) ottenuti esclusivamente in tipologie rosse e nel tipo rosato incentrate, per lo più, sulle uve dei vitigni Sangiovese, Aleatico, Cabernet Sauvignon e Merlot, al quale si sono aggiunte, con la modifica del disciplinare intervenuta a novembre 2011, le tipologie Aleatico Passito e Ciliegiolo.
L’incidenza dei fattori umani, nel corso della storia, è riferita, in particolare, alla puntuale definizione dei seguenti aspetti tecnico-produttivi, che costituiscono parte integrante del vigente
disciplinare di produzione:
base ampelografica dei vigneti: i vitigni idonei alla produzione del vino in questione sono quelli
tradizionalmente coltivati nell’area geografica considerata, e cioè, in primis, i vitigni autoctoni
Sangiovese, Aleatico e Ciliegiolo, e gli internazionali Cabernet Sauvignon e Merlot, oltre alle
varietà che concorrono eventualmente nella percentuale riservata ai vitigni complementari;
le forme di allevamento, i sesti d’impianto e i sistemi di potatura che, anche per i nuovi impianti,
sono quelli tradizionali della zona, e cioè il Cordone speronato orizzontale e il Guyot singolo o a
doppia palmetta, tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti;
ciò sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali con un aumento della meccanizzazione, sia per gestire la razionale gestione della chioma, consentendo di ottenere un’adeguata superficie fogliare ben esposta e, al contempo, di perseguire un contenimento delle rese di produzione di vino entro i limiti fissati dal disciplinare, rapportate a una densità minima
di 3300 piante per ettaro, il che consente di ottenere una buona competizione fra le piante (77
hl/ha per il tipo “base” e il rosato, che scende a 63 per il Rosso con menzione Superiore e
qualifica Riserva, e per tutte le tipologie varietali – Aleatico, Sangiovese, Ciliegiolo, Merlot e
Cabernet Sauvignon – obbligatoriamente accompagnate dalla menzione Superiore ed,
eventualmente, dalla qualifica Riserva, e a 28 hl/ha per l’Aleatico Passito e Passito Riserva);
le pratiche relative alla elaborazione dei vini, che sono quelle tradizionalmente consolidate in
zona per la vinificazione in rosso dei vini tranquilli, adeguatamente differenziate per la tipologia
di base e le tipologie con menzione Superiore e con qualifica Riserva, riferite, le ultime due, a
rossi maggiormente strutturati ottenuti da uve con un titolo alcolometrico volumico totale
minimo più elevato di un grado rispetto al tipo “base” e caratterizzate da un’elaborazione che
comporta determinati periodi di invecchiamento e affinamento in bottiglia e/o in botte obbligatori; di tradizione consolidata è anche la produzione di vini rosati ottenuti con un limitato contatto del mosto con le parti solide, proveniente dalla pigiatura di uve per lo più della varietà
Sangiovese, e la produzione di vini ottenuti da uve della varietà Aleatico sottoposte ad
appassimento all’aria o in locali idonei.


B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o
esclusivamente attribuibili all’ambiente geografico.
La DOC «Sovana» è riferita alla tipologia Rosso “di base”, al tipo Rosato, a quello con menzione “Superiore” e qualifica “Riserva”, alle tipologie varietali Aleatico, Cabernet Sauvignon, Ciliegiolo, Merlot e Sangiovese, obbligatoriamente accompagnate dalla menzione “Superiore” ed, eventualmente, dalla qualifica “Riserva”, e alla tipologia Aleatico Passito, anche con qualifica “Riserva”, le quali, dal punto di vista analitico e organolettico, presentano caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6 del disciplinare, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico.
In particolare, tutti i vini presentano un modesto tenore di acidità, leggermente più elevato nelle
tipologie Rosato e Passito.
I vini rossi presentano un colore rosso rubino di buona intensità con riflessi violacei nei vini giovani, che sfuma al granato nei vini più maturi, comunque influenzato, nella tonalità, dalla percentuale di Sangiovese presente: il Sangiovese, infatti, rispetto ad altri vitigni come il Cabernet e il Merlot, conta su di una quantità di antociani totali inferiore, a vantaggio, però, di
una notevole ricchezza in tannini proantocianidici e catechine. Per questo motivo, nella tipologia
“di base”, è possibile riscontrare una maggiore complessità aromatica con sfumature fruttate e
speziate più evidenti e, al contempo, un’attenuazione della sensazione tannica del vitigno base –
soprattutto nei vini più giovani – proprio in funzione della diversa presenza di Sangiovese (minimo 50%) e di quella di altre varietà a bacca rossa (fino al 50%), il che conferisce, ai vini, un
gusto più rotondo e pieno; l’aumento della presenza percentuale di vitigni come Merlot o Cabernet Sauvignon, infatti, porta a ottenere vini di un colore rosso rubino più intenso, talvolta
granato, con profumi intensi di frutta matura e spezie, talvolta con note erbacee, mentre al palato risultano morbidi e vellutati.
Nelle tipologie che si fregiano della menzione “Superiore” e della qualifica “Riserva” il colore tende al rosso rubino intenso con riflessi violacei più o meno frequenti, che si tramuta in granato
con l’invecchiamento, mentre l’intensità del profilo aromatico aumenta e aumenta la sua
complessità, ampiezza ed eleganza, con sentori di piccoli frutti accompagnati da evidenti note
speziate, talvolta con sentori erbacei, e al palato si amplia la sensazione di lunghezza, di corpo e
di volume; queste caratteristiche sono direttamente influenzate, infatti, dall’affinamento e
dall’invecchiamento dei vini, ed è per questi motivi che il disciplinare stabilisce una data di
immissione al consumo che non può essere antecedente al 1° giugno dell’anno successivo alla
vendemmia per la menzione Superiore, e un invecchiamento minimo di 18 mesi in botti di legno
e un affinamento in bottiglia di almeno 6 mesi per tutte le tipologie con qualifica Riserva. Il vino
della versione Rosato si presenta con un colore dal rosa tenue al rosa cerasuolo, profumi intensi,
fruttati, delicati, mentre al palato è fresco, sapido, asciutto, leggermente acidulo. La tipologia
Aleatico Passito, infine, si presenta con un colore rosso rubino intenso, un profumo ricco, vinoso
e complesso, etereo, intenso, con evidenti note di confettura, liquirizia e cioccolato, mentre al
gusto denota sensazioni vellutate, rotonde, con una notevole ampiezza, lunghezza e persistenza.


C) descrizione dell’interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B).
L’orografia collinare e pedecollinare della zona di produzione, nel lembo sud-orientale della
provincia di Grosseto, nell’intero territorio comunale di Pitigliano e di Sorano e in parte di quello
di Manciano, con una quota media intorno a 290 metri s.l.m., una pendenza media del 5%, una
esposizione che da nord-est degrada verso sud-ovest (media a sud-est), per il particolare
beneficio delle sue colline protette dai venti freddi del nord e aperte alle brezze marine ma con
una buona ventilazione durante tutto l’anno, concorrono a determinare un ambiente areato,
luminoso e con un suolo naturalmente sgrondante dalle acque reflue, particolarmente vocato per
la coltivazione della vite.
Anche la tessitura e la struttura chimico-fisica dei terreni interagiscono in modo determinante
con la coltura della vite, contribuendo all’ottenimento delle peculiari caratteristiche fisicochimiche e organolettiche dei vini «Sovana».
In particolare, i terreni, caratterizzati da formazioni costituite prevalentemente da rocce effusive
e vulcanoclastiche (marnose, marnoso-pelitiche e pelitiche a ovest del fiume Fiora, conglomerati
di sabbia, detriti fluviali, ciottoli con argille e sabbia nella fascia collinare a ovest di Manciano), presentano un’elevata profondità utile per lo sviluppo radicale, una buona capacità di drenaggio e
una moderata capacità di acqua disponibile, condizioni tali da consentire un buon sviluppo
vegeto-produttivo delle coltivazioni arboree.
Sono terreni per lo più franchi, tufacei, più o meno ricchi di scheletro, sub-acidi o neutri, privi di
carbonati, tendenzialmente aridi, ricchi di potassio e poveri di fosforo assimilabile, con discreta
dotazione di sostanza organica, che presentano, perciò, una spiccata attitudine alla coltivazione
della vite e, per tali ragioni, risultano pienamente idonei a una vitivinicoltura di qualità, in
particolare se coltivati con l’ausilio di pratiche agronomiche e gestionali dei suoli corrette (quali
potatura verde e alta densità di impianto) e basse rese produttive.
Anche il clima della zona di produzione, caratterizzato da una buona piovosità (media intorno agli 820-870 mm/anno), con scarse piogge estive (intorno ai 90-100 mm) e una certa aridità nei mesi di luglio e agosto – tanto da far riscontrare lievi stress idrici nelle fasi che precedono la
maturazione dell’uva –, da ottimi valori dell’indice bioclimatico di Huglin (tra 2100 e  2500°C giorno), da una buona temperatura media annuale (14-14,5°C), unita a una ventilazione sempre
presente anche nel periodo primaverile-estivo grazie alle brezze di Maestrale che soffiano nelle
ore più calde della giornata, contribuendo a regolare le temperature e a creare un ambiente
sfavorevole alle malattie parassitarie, il tutto unito a una temperatura piuttosto elevata, con
ottima insolazione nei mesi di settembre-ottobre e buone escursioni termiche tra giorno e notte,
consente alla vite di ottenere un giusto equilibrio vegetativo, permettendo una lenta, graduale e
ottimale maturazione fisiologica delle uve, contribuendo in maniera significativa alle particolari
caratteristiche organolettiche dei vini «Sovana».
La millenaria storia vitivinicola riferita al territorio della Maremma sud-orientale, dall’epoca etrusca a quella romana, al medioevo, fino ai giorni nostri, attestata da numerosi documenti,
citazioni e testimonianze storiche, è la prova fondamentale della stretta connessione e  interazione tra i fattori umani e la qualità e le caratteristiche peculiari dei vini «Sovana».
È la testimonianza, perciò, di come l’intervento dell’uomo in questo particolare territorio abbia
tramandato, nel corso dei secoli, le tecniche tradizionali di coltivazione della vite ma anche le
rituali prassi enologiche, le quali, tuttavia, in epoca moderna, sono state migliorate e affinate,
grazie all’indiscutibile progresso scientifico e tecnologico, fino a ottenere i vini «Sovana», le cui
caratteristiche peculiari sono specificamente descritte all’articolo 6 del disciplinare di produzione.
In particolare, la presenza della viticoltura nel territorio della Maremma sud-orientale è attestata
fin dall’epoca etrusca (il vasellame e i pithoi reperiti in molte delle aree archeologiche presenti
sul territorio, e le stesse cantine scavate nel tufo nella zona di Pitigliano, Vitozza e Sorano ne sono una prova), ma le testimonianze continuano in epoca romana fino al medioevo (nel centro
del paese di Sovana, nella chiesa romanica di Santa Maria di fronte al Palazzo Pretorio, si trova
un ciborio preromanico in travertino bianco che reca lastre decorate con viticci annodati, grappoli di uva e foglie di vite) nel corso del quale la vite acquistò particolare importanza come pianta colonizzatrice, tanto che governanti e feudatari riconobbero la necessità di concedere terre adatte per questa coltura e di stabilirne la protezione con apposite norme statutarie.
E furono molti gli studiosi di epoche successive che riconobbero i pregi delle uve di questo territorio e l’eccellenza dei vini prodotti, e non mancarono le testimonianze di chi, attraversando
il territorio pitiglianese, rimase colpito dai vini qui prodotti, conservati in vasi vinari nelle
profonde e fredde grotte di tufo.
Alla fine del 1500, Bacci così descriverà queste campagne “…situate nel cuore dell’Etruria,
godono di molti pregi, sono esposte da una parte al vento che spira da settentrione dalle falde del monte Amiata e dall’altra, estendendosi verso mezzogiorno, godono anche di quello australe che dona loro calore”…Quale migliore incipit per identificare un territorio viticolo; e infatti, la zona era ricca “…di ottimi vini, soprattutto rossi, sinceri, e chiarificati con null’altro che la semplice
fermentazione dei tini”. Tre secoli più tardi, il dott. Villafranchi-Giorgini (1847) cita un tronco di
vite di dimensioni eccezionali proveniente da Valle Castagneta, mentre l’enotecnico Luigi Vivarelli (1906) un episodio del 1787 avvenuto nella zona di Sorano sempre riferito a una vite di dimensioni rilevanti, a conferma che la viticoltura aveva tradizioni centenarie già a quel tempo.
Lo stesso Vivarelli parla diffusamente di sistemi di allevamento della vite, affermando che, nella
Maremma meridionale, è già ampiamente diffusa la vigna specializzata allevata a cordone speronato, mentre Giacomo Barabino (1884) si sofferma sulla eccellente qualità dei vini prodotti
nelle zone di Magliano, Pereta, Scansano, Manciano, Pitigliano e Sorano, già a quel tempo tra le
più significative della provincia, paragonati addirittura a quelli già rinomati del Chianti. Tra le
testimonianze più significative ed esaurienti, quelle del dott. Alfonso Ademollo, riconducibili a
una relazione all’inchiesta parlamentare Jacini (1884), si soffermano lungamente sulla vocazione
viticola della Maremma; nella stessa relazione, che fotografa perfettamente la situazione della
viticoltura maremmana alla fine del 1800, egli afferma che le varietà coltivate sono numerose,
alcune “internazionali” perfettamente adattate al territorio, il quale viene ritenuto altamente
vocato alla coltura della vite (per cinque sesti della superficie), mancando periodi di caldo o di
freddo eccessivi e grazie anche ai terreni leggeri e permeabili, dovuti a sabbie, rocce decomposte, detriti vulcanici e ciottolame. Inoltre, relativamente ai pregi e difetti del vino prodotto sul territorio maremmano, egli si esprime in modo molto positivo, tanto da affermare che il vino è prodotto in ogni parte della provincia, sia in aree pianeggianti che montuose, citando come zone di maggiore produzione i territori dei comuni di Massa Marittima, Roccastrada, Pitigliano e Sorano, gli ultimi due dotati anche di buone cantine per la conservazione.
In tutti questi secoli, lo sviluppo dell’agricoltura di questo lembo di Maremma è sempre stato
accompagnato da un’affermazione della viticoltura e, di pari passo, da una forte valenza della
tradizione vinicola, spesso perpetrata dai monaci benedettini nei periodi più bui del basso
medioevo, e oggi ancora riscontrabile percorrendo il territorio, dove non di rado è possibile
trovare vecchie cantine scavate direttamente nel tufo già al tempo degli etruschi e dei romani e,
in parte, ancora oggi utilizzate, come accade a Pitigliano e Sorano.
All’inizio del XX° secolo, la viticoltura in provincia di Grosseto, come in altre aree del Paese,
conobbe un periodo di crisi, con una polverizzazione delle proprietà diretto coltivatrici e diffuse
forme di conduzione mezzadrile ma, con i decenni successivi, si moltiplicarono le iniziative di
molti proprietari intese a sviluppare una viticoltura più moderna e razionale, anche con
l’inserimento di nuove cultivar. Col trascorrere degli anni, la nascita della Cantina Sociale di
Pitigliano nel lontano 1954 e il contributo proveniente dall’attività di sperimentazione e di studio
condotta sul territorio dalle istituzioni pubbliche e dalle aziende private, si crearono i presupposti
per richiedere il riconoscimento della denominazione di origine controllata per i vini “Sovana” col decreto ministeriale del 20 maggio 1999 (preceduto, tuttavia, nel corso degli anni ’80, dall’utilizzo di indicazioni geografiche transitorie autorizzate dal Ministero dell’Agricoltura, quali “Saturnia” e “Sorano”), valorizzando, così, anche i vini rossi e rosati ottenuti in questo territorio, incentrati sui vitigni tradizionali Sangiovese e Aleatico, e sulle varietà internazionali Cabernet Sauvignon e Merlot.
Ma l’attività di sperimentazione e di studio su varietà di vite diverse e su metodi di vinificazione
più innovativi, non si interruppe col riconoscimento della denominazione di origine, semmai si
fece più dinamica, tanto che, grazie anche all’impianto di nuovi vigneti e alla nascita di nuove
aziende, i risultati emersi convinsero i produttori dell’area del Sovana che era necessario
aggiornare il disciplinare di produzione, inserendo la versione varietale Ciliegiolo, anche con
menzione Superiore e qualifica Riserva (al pari delle altre tipologie previste, ad eccezione del rosato), e la tipologia tradizionale Aleatico Passito, anche con qualifica Riserva, il che è stato
sancito con la modifica del disciplinare intervenuta col decreto ministeriale 22.11.2011.

VITIGNI

ALEATICO N. (MAIN)
** Ciliegiolo N (OIV)
* Merlot N (OIV)
* Sangiovese N (OIV)
Cabernet sauvignon

VITIGNI SECONDARI

** Abrusco N (OIV)
** Aleatico N (OIV)
* Alicante Bouschet N (OIV)
* ALICANTE N. (MAIN)
* ANCELLOTTA N. (MAIN)
* BARBERA N. (MAIN)
** Barsaglina N (OIV)
** Bonamico N (OIV)
** Bracciola Nera N (OIV)
* CABERNET FRANC N. (MAIN)
* CABERNET SAUVIGNON N. (MAIN)
* Calabrese N (OIV)
** Caloria N (OIV)
** Canaiolo Nero N (OIV)
** CANINA NERA N. (MAIN)
** Carignano N (OIV)
** CARMENERE N. (MAIN)
** CESANESE D'AFFILE N (MAIN)
** CILIEGIOLO N. (MAIN)
** Colombana Nera N (OIV)
** Colorino N (OIV)
** Foglia Tonda N (OIV)
** GAMAY N. (MAIN)
** Groppello di S. Stefano N (OIV)
** GROPPELLO GENTILE N. (MAIN)
* LAMBRUSCO MAESTRI N. (MAIN)
** Malbech N (OIV)
* Malvasia N (OIV)
** Malvasia Nera di Brindisi N (OIV)
** Malvasia Nera di Lecce N (OIV)
** Mammolo N (OIV)
** Mazzese N (OIV)
* Meunier N (OIV)
** Mondeuse n. (OTHER)
* Montepulciano N (OIV)
** PETIT VERDOT N. (MAIN)
* Pinot Nero N (OIV)
** Pollera Nera N (OIV)
** Prugnolo Gentile N (OIV)
** Pugnitello N (OIV)
** Rebo N (OIV)
** REFOSCO DAL PEDUNCOLO ROSSO N. (MAIN)
* SAGRANTINO N. (MAIN)
** Sanforte N. (OTHER)
* SANGIOVESE N. (MAIN)
** Schiava Gentile N (OIV)
* SYRAH N. (MAIN)
** TEMPRANILLO N. (MAIN)
* Teroldego N (OIV)
* Vermentino Nero N (OIV)

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