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Aversa Doc

Pubblicato da disciplinare

Le uve destinate alla produzione del vino a DOC “Aversa Asprinio” devono essere prodotte nella zona che comprende tutto il territorio amministrativo dei comuni di Aversa, Carinaro, Casal di Principe, Casaluce, Casapesenna, Cesa, Frignano, Gricignano di Aversa, Lusciano, Orta di Atella, Parete, San Cipriano d’Aversa, San Marcellino, Sant’Arpino, Succivo, Teverola, Trentola – Ducenta, Villa di Briano, Villa Literno (in provincia di Caserta ) e Giugliano, Qualiano, Sant’Antimo in provincia di Napoli

Inventario delle principali varietà di uve da vino
ASPRINIO BIANCO

LEGAME CON LA ZONA GEOGRAFICA DOC Aversa

Informazioni sulla zona geografica: La zona geografica delimitata comprende una pianura geologicamente omogenea posta a Nord dei campi Flegrei in quelli che un tempo erano denominati Regi Lagni. L'area è compresa tra Orta di Atella ad Est, Casal di Principe a Nord, Villa Literno ad Ovest, Qualiano a Sud. L'area dell'Asprinio di Aversa è totalmente pianeggiante e l'altimetria è compresa tra i 10 m. slm di Villa Literno e i 101 m. slm di Qualiano. L'esposizione prevalente dei vigneti è sud.

Il clima della regione rientra nell’area di influenza mediterranea; l’andamento delle temperature è caratterizzato da medie escursioni, con estati calde e inverni temperati. La precipitazione media annua è di 702 mm. (ultimi 12 anni) La distribuzione stagionale delle piogge ha caratteri tipicamente mediterranei concentrandosi per circa il 60% nel periodo autunno-inverno. Nel complesso i terreni rilevati nell'area in studio, presentano in sommità uno spessore variabile, di alcuni metri, di materiali riconducibili al secondo periodo flegreo che rappresentano le facies incoerenti (pozzolane) e coerenti o pseudo coerenti (tufo giallo); in profondità uno spessore di materiali riconducibili al primo periodo flegreo (tufo grigio). Tali formazioni sciolte o litoidi, provengono da una stessa tipologia di terreni, le piroclastici. La composizione mineralogica delle piroclastici, prevalendo i prodotti dei Campi Flegrei è trachitica di natura alcalina ed inquadrabile nelle associazioni magmatiche potassiche. Detti terreni a seconda dei grado di litificazione e di "autopneumatolisi" a cui sono stati soggetti, si presentano scotte o litificate. Le pozzolane hanno una diversa classificazione geologica, in quanto possono essere in sede, rimaneggiate e alluvionali. Le prime sono di colore grigio chiaro e sono costituite da ceneri, lapilli pomiceì e in misura assai ridotta, da lapilli lapidei. Questi terreni talvolta sono stati rimossi dalle acque superficiali, trasportati rimaneggiati e ridepositati formando così le pozzolane rimaneggiate. Queste ultime sono di colore giallognolo marrone, si differenziano da quelle in sede per la maggiore presenza di lapilli lapidei e per la granulometria che è in genere più fine; inoltre molto spesso è presente negli strati più superficiali e negli orizzonti di paleosuoli, della sostanza organica sotto forma dí humus da cui ne consegue una certa plasticità e deformabilità degli stessi. Le pozzolane alluvionali hanno subito processi simili a quelle rimaneggiate ma di intensità nettamente maggiore. Si sono verificate così variazioni nella granulometria, precisamente è stata asportata la frazione più grossolana costituita da pomici, mentre è aumentata la frazione di lapilli lapidei di dimensioni ridotte. Il rilevamento geologico di superficie, e le risultanze delle indagini, hanno evidenziato per l'area investigata, la presenza di depositi tali piroclastici depositatisi in tempi diversi, pertanto il sottosuolo in oggetto in base: a) al rilevamento di dettagliato b) alle indagini acquisite c) alle indagini eseguite risulta in perfetto accordo con la geologia generale dell'area, precedentemente descritta; cioè i litotipi riconosciuti sono essenzialmente prodotti piroclastici ascrivibili ad attività vulcanica degli apparati del Roccamonfina, dei Campi Flegrei e del Somma-Vesuvio, sia in deposizione primaria, sciolti o litoidi che secondaria (alluvionali), questi ultimi sempre sciolti. Premesso ciò, per semplicità di esposizione, i terreni attraversati dalle terebrazioni (sondaggi), vengono distinti, in base alla loro consistenza, in tre formazioni piroclastiche;
-1) superficiale di tipo pozzolanico (sciolto) fino a max. 12 m dal p.c.
-2) di tipo tufitico (pseudolitoide) fino a circa 21 m dal p.c.
-3) di tipo cìneritico sabbioso oltre tale profondità.

La I formazione si presenta incoerente, policroma, a granulometría sabbiosa, ma con inclusi lapilli, pomici e scorie
La II formazione appare spesso litoide o semilitoide Tufo Grigio (nella variazione da Giallo a Grigio — potenza massima di 10-12 m) La III formazione è in effetti una cinerite sabbioso ghiaiosa di origine vulcanica talvolta alternate a orizzontì tufacei. Il loro spessore può raggiungere varie decine di metri, ed è quella che ospita la falda acquifera.

1) Fattori umani
Di fondamentale rilievo sono i fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito ad ottenere il vino “ Aversa”. L’agro aversano, ricadente nelle province di Napoli e Caserta, è delimitato, a guisa di barriere vegetali, dalle tipiche alberate (o festoni) che ne caratterizzano il paesaggio. La vite maritata a tutori vivi, in genere il pioppo, raggiunge anche i venti metri di altezza dando origine a prodotti di pregio e spiccata tipicità che possono vantare una tradizione antichissima e saldamente radicata nelle popolazioni locali. Infatti il vitigno Asprinio è presente in Campania da epoca remota ma varie e diversificate sono le ipotesi formulate sulla sua origine, come pure diverse sono le sinonimie da più parti segnalate.

2) Fattori storici
Secondo alcuni ampelografi in Puglia il vitigno riceverebbe il nome di “Olivese”, “Ragusano” e “Ragusano bianco”. Nelle aree aversane, maddalonese e casertana, invece, è ricorrente la denominazione di “Asprinio” – “Asprino” – “Uva Asprinia”. Più consona risulta, comunque, la terminologia di “Asprinio di Aversa”, la cui codificazione è ormai accettata dagli operatori agricoli dagli Enti locali preposti alla tutela ed alla valorizzazione della produzione viticola. La coltura del vitigno Asprinio, diffusa un po’ dappertutto nel Mezzogiorno d’Italia, ha sempre trovato in Campania, e più specificatamente in Agro Aversano, la più ampia collocazione. Circa l’ introduzione in Italia di tale vitigno, le ipotesi formulate sono molto diverse ed anche il particolare sistema di allevamento è oggetto delle più svariate considerazioni, non esclusa qualcuna chiaramente frutto di pura fantasia, in quanto collegata ad una probabile funzione di più o meno valida barriera bellica per contrastare le cariche della cavalleria degli eserciti avversi ai Borboni. Più consono, ci sembra invece, collocare il particolare sistema di allevamento della vite alla coltura della canapa, tipica dell’area di Terra di Lavoro. La canapa, infatti, raggiungendo altezze variabili intorno ai due metri dal suolo, creava condizioni sfavorevoli ad un allevamento basso della vite, soprattutto in considerazione che la coltura della vite veniva condotta in consociazione. Secondo Violante e Bordignon sembra che la diffusione della coltura dell’Asprinio abbia avuto la maggiore espansione nelle Puglie ed in Campania. In particolare, poi, l’incidenza più elevata si sarebbe registratta nella provincia di Caserta, un po’ meno in quella di Napoli. Secondo Giampaglia, il vitigno Asprinio deriverebbe dalla “tribù dei Pinot” e sarebbe stato introdotto nel Napoletano nel secolo scorso durante la dominazione francese. A sostegno di questa ipotesi vale la considerazione avallata dagli stessi agricoltori, secondo i quali, nel passato, l’uva asprinia veniva acquistata da commercianti francesi e ungheresi, per poi utilizzarla nella preparazione di vino spumante. Altri sostengono che il vitigno in parola derivi direttamente dal “Greco” e ciò verrebbe confermato da quanto scriveva, nel 1804, Nicola Columella Onorati che elencando le principali varietà di uva che si coltivano nell’agro alifano, cosi si esprimeva: “L’uva asprinia, della quale varietà di uva bianca si fa il Greco in buona parte in Campania è conosciuta sotto il nome di Asprinio di Aversa”. Ma gli stessi cultori dell’epoca non sembrano condividere tali affermazioni, perché le differenze morfologiche tra “Greco” ed “Asprinio” risulterebbero tali da non lasciare alcun dubbio. Secondo notizie tramandate da Sante Lancerio, cantiniere di S.S. Papa Paolo III Farnese, la coltura del vitigno risalirebbe agli inizi del ‘500, cioè in un’epoca anteriore alla dominazione francese. Infatti, ne “I Viaggi di Papa Paolo III”, il Lancerio dice che S.S. usava l’Asprinio come bevanda dissetante servendosene prima di coricarsi. Lo stesso autore facendo le lodi a questo vino “diuretico” dice che il migliore è quello di Aversa, apprezzato dai commercianti perché “li cortigiani et cortigiane corrono volentieri alla foglietta” (la “foglietta” è una misura di capacità del vino, circa mezzo litro). Questa la descrizione: “Il vino Asprinio vien da un luogo vicino Napoli. Li migliori sono quelli di Aversa, città unica e buona. Ce ne sono delli bianchi et delli rossi, ma questi sono meglio. Tali vini sono molto crudi, sono vini da podagrosi. L’estate è sana bevanda. Di questa sorta di S.S. usava bere alcuna volta per cacciare la sete avanti che andasse a dormire, et diceva farlo per rosicare la flemma. A volere conoscere la sua perfetta bontà vuole essere odorifero, di colore dorato, et non del tutto crudo. Volendolo per le state, bisogna metterelo, la primavera, nella cantina, et sia si crudo che il caldo lo maturi, et prima faccisi la prova del colore. Tali vini sono stimati assai dagli osti, che li Cortigiani et Cortigiane corrono volentieri alla foglietta. Anco questo vino è lodato dai Medici, sicchè e buono.” Anche la tradizione popolare vuole far risalire la coltivazione dell’Asprinio nella zona ai primi del ‘500. Si vuole, ma senza alcuna prova storica, che Luigi XII di Valais, Re di Francia detto “Padre del Popolo” (nato a Blais 1462 – morto a Parigi 1515), disceso nella penisola italiana all’inizio del 1500 ed impadronitosi prima del Ducato di Milano e quindi del Regno di Napoli che, poi, dovette cedere agli Spagnoli (1504), importasse dalla Francia una certa quantità di vitigni che, avendoli fatti mettere a sito nelle terre del Casertano, ne ottenne l’Asprinio. Questo vino chiaro, color verdolino, asciutto e frizzante è gradevolissimo e dissetante per cui i napoletani presero a berne ben fresco anche fuori pasto per meglio sopportare le arsure estive. Sta di fatto che questo vino giovane, prodotto all’epoca di bassa gradazione alcoolica (dagli 8 ai 10 gradi), ebbe vasta diffusione nel napoletano talché nelle antiche e più rinomate taverne della Napoli prima spagnola e poi borbonica quali quelle: del Cerriglio: della Vicaiola: di Porta Capuana: di Florio a Chiaia e del Crispano, la bionda bevanda “scorreva a fiumi” con grande sussiego dei tavernari e grande gioia dei festosi chiassosi consumatori. A convalidare l’antichità di questo gradevole prodotto enologico va ricordato che da un “Assisa del vino” in data 15 febbraio 1640 risulta che il prezzo dell’Asprinio era di denari nove la caraffa, (la “caraffa” equivalente a trentatre once di liquido, poco meno di un litro). Questo tipico prodotto partenopeo che, forse, aveva in un certo qual modo colpito l’attenzione della moglie del Re Gioacchino Murat, portò la Regina Carolina a scrivere in una lettera: “Questa e la terra promessa, nella campagna si vedono festoni di viti attaccati agli alberi con sparsi grappoli di uva assai più belli di quelli che gli Ebrei portarono a Mosè. Spero che quanto ti dico ti ispiri il desiderio di venire a vedere questo paese, vale la pena di fare cinquecento leghe per vederlo.” Non si può escludere che la principessa napoleonica fosse stata attratta proprio dal vitigno Asprinio allevato secondo il sistema classico ad alberata, detto anche “Sistema Aversano”. E poiché, se è vero, che tutto torna alle origini giova ricordare che dall’Asprinio si ottennero i primi spumanti secchi che, prodotti con le più pregiate uve dei Siti Reali dell’aversano, trovarono favorevole accoglienza nella vicina Francia. Pare che lo stesso Garibaldi lo abbia apprezzato in una rustica colazione dopo la battaglia del Volturno. Diversamente dagli altri il Redi evidenzia , con un certo dispregio, la caratteristica acidità del Vini Asprinio, definendolo “bevanda agreste”: ma, ricorda il Monelli, forse per ripicca a seguito di contrasti con l’Avvocato napoletano Francesco d’Andrea. Rendella, a sua volta, riferisce di un vino Asprinio facile a digerirsi, ma poco serbevole per cui ne consiglia il consumo prima dei forti calori estivi, raccomandandone la conservazione in grotte scavate nel tufo a profondità di 15- 20 metri, affinché la temperatura si mantenga costantemente bassa. In queste cantine, tutt’ora esistenti, il vino si conserva bene e si presenta frizzante a causa dell’anidride carbonica che si svolge dalla fermentazione lenta che, favorita dall’ambiente fresco, si dissolve facilmente nella massa.

Da rilevare, la testimonianza di Vincenzo Sammola, secondo il quale il maggior consumo di vino a Napoli era appannaggio del tipo rosso mentre “solo nell’estate avanzata” la preferenza era accordata al vino bianco “Asprinio di Aversa”. Nel 1839 nel suo “Corricolo”, interessante tra l’altro per una classificazione delle pizze d’epoca, Alessandro Dumas, definì l'Asprinio come l’unico vino capace di andar bene con la pizza e gli spaghetti. Il Bruno Bruno, invece lo definisce atto su lucci e anguille, riportando un giudizio di Veronelli, che è rimasto affascinato dall’Asprinio di Aversa: “Quando l’ho bevuto, mi sono emozionato. Ero in campagna da un contadino, dalle parti di Aversa, e quell’ Asprinio era eccezionalmente buono. Ben lavorato, fragile, elegante. Quello che i fa rabbia è la consapevolezza di non poterlo ritrovare. L’Asprinio di Aversa sarebbe un vino splendido se venisse valorizzato”. È questo è l’obbiettivo che si prefigge la proposta di conferimento della Denominazione di Origine Protetta per il vino “Asprinio di Aversa”, dare dignità ed un futuro ad un vino di grande pregio e tradizione.


- base ampelografica dei vigneti:
i vitigni idonei alla produzione del vino in questione sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area di produzione - le forme di allevamento,i sesti di impianto e i sistemi di potatura che, anche per i nuovi impianti, sono quelli tradizionali e tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti, sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali, sia per consentire la razionale gestione della chioma. - le pratiche relative all’elaborazione dei vinisono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione dei vini bianchi e dei bianchi spumanti.


Informazioni sul prodotto: I vini di cui il presente disciplinare di produzione presentato, dal punto di vista analitico ed organolettico, caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6, che ne una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico. In particolare i vini presentano caratteristiche chimico-fisiche equilibrate in tutte le tipologie, mentre al sapore e all’odore si riscontrano aromi prevalenti tipici dei vitigni.


Legame causale: L’orografia pianeggiante del territorio di produzione e l’esposizione prevalente dei vigneti, orientati a sud, e localizzati in zone storicamnete vitate, concorrono a determinare un ambiente adeguatamente ventilato, luminoso, favorevole all’espletamente di tutte le funzioni vegeto-produttive della pianta. Nella scelta delle aree di produzione vengono privilegiati i terreni con buona esposizione adatti ad una viticoltura di qualità e ad una notevole tipicità. La millenaria storia vitivinicola dell'area, come descritto al capoverso 2 è la fondamentale prova della stretta connessione ad interazione esistente fra i fattori umani e la qualità e le peculiari caratteristiche del vino “Asprinio”.

Ovvero è la testimonianza di come l’intervento dell’uomo nel particolare territorio abbia, nel corso dei secoli, tramandato le tradizioni tecniche di coltivazione della vite, le quali nell’epoca moderna e contemporanea sono state migliorate ed affinate, grazie all’indiscusso processo scientifico e tecnologico, fino ad ottenere gli attuali rinomati vini. La presenza stessa di una particolare forma di allevamento che prende il nome da quest'area (alberata aversana) e la conservazione di alcuni esemplari centenari di vite prefillossera sono la prova tangibile del rapporto storico culturale che lega questo vino al suo territorio. La DOC “ Aversa “ è stata riconosciuta con Decreto ministeriale del 31 luglio 1993.


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