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Falanghina del Sannio Doc

Pubblicato da disciplinare

Falanghina del Sannio
- Falanghina (min. 85%)

ZONA DELIMITATA La zona di raccolta delle uve per l’ottenimento dei vini atti ad essere designati con la denominazione di origine controllata «Falanghina del Sannio», accompagnata o meno dalle specificazioni previste, comprende l’intero territorio amministrativo della provincia di Benevento, così come già delimitata con decreto ministeriale 5 agosto 1997 pubblicato nella G.U. n 204 del 2 settembre 1997.

3.2) delimitazione della sottozona "Solopaca
La zona di produzione delle uve comprende l'intero territorio dei comuni di Solopaca, Castelvenere, Guardia Sanframondi, San Lorenzo Maggiore e parte del territorio dei comuni di Cerreto Sannita, Faicchio, Frasso Telesino, Melizzano, San Lorenzello, San Salvatore Telesino, Telese e Vitulano, tutti in provincia di Benevento, così come già delimitata con DPR 20.09.1973 modificato con DM 12.10.1992 e DM 30.10.2002 pubblicato nella G.U. n 271 del 19 novembre 2002. Tale zona è così delimitata: partendo dalla confluenza dei confini comunali di San Lorenzo Maggiore, Guardia Sanframondi, San Lupo e Cerreto Sannita in località Ripe del Corvo, la linea di delimitazione segue verso sud il confine orientale prima e meridionale poi di San Lorenzo Maggiore, fino ad incrociare quello di Vitulano che segue verso sud sud-est fino ad incontrare la mulattiera a quota 349 che segue verso sud-ovest e da quota 305 si immette sul sentiero, verso ovest, passando per le quote 272, 162, 165 e 219, dove incontra il confine del comune di Solopaca e lo percorre verso sud e poi ovest fino ad incontrare quello di Melizzano che segue verso ovest fino ad incrociare in località Acquaviva la strada SolopacaFrasso Telesino. Prosegue sulla strada per Sant'Agata dei Goti sino al ponte in prossimità della Masseria Calabrese a quota 315. Da qui lungo il corso d'acqua, verso sud raggiunge il confine meridionale di Frasso Telesino, lo segue verso ovest e poi in direzione nord sino alla strada Dugenta-Frasso Telesino che segue verso nord fino in prossimità della quota 165 e poi, sempre lungo la strada, procede verso sud per circa 100 metri sino a prendere, in direzione ovest, quella che passando per la quota 74 in località Torre Maiorano, raggiunge in prossimità della quota 39 la strada Dugenta-Telese, segue questa in direzione est per la strada che conduce alla località Piana che costeggia passando ad ovest della medesima fino a raggiungere la carrareccia in prossimità della quota 72. Da qui segue una retta che raggiunge, superato il torrente Maltempo, l'edificio contrassegnato con il segno convenzionale degli opifici sulla strada che porta a Melizzano. Da tale punto segue detta strada in direzione nord-ovest sino a congiungersi con quella di Dugenta-Telese, la percorre sino al ponte della Calce da dove prosegue, in direzione nord-est, lungo il confine del comune di Solopaca, sino a raggiungere in località Pagnano, la carreggiabile che delimita a nord la località Santo Frate. Segue detta strada verso ovest per circa un chilometro e 250 metri e piega poi verso nord lungo la scarpata tra le quote 52 e 45 fino a raggiungere a quota 52 la ferrovia che verso nord attraversa l'abitato di Telese. Segue poi la strada che, in direzione est, va ad intersecare il confine comunale di Castelvenere che segue poi verso nord fino ad incrociare la strada per Massa La Grotta. Da tale punto di incrocio la linea di delimitazione prosegue verso nord-ovest per il sentiero che, passando per le quote 114 e 112 raggiunge, in prossimità di quest'ultima quota, la strada per le cave di pietra, la percorre per un tratto di circa 350 metri, segue quindi verso nord il sentiero che, passando alle pendici della collina Della Rocca e attraverso la località Vigne Vecchie, raggiunge la strada per Massa, in prossimità della quota 162, prosegue sempre verso nord lungo questa strada fino quasi al centro abitato di Massa, seguendo all'altezza dell'incrocio con la strada per la masseria del Barone, quella che aggira ad ovest l'abitato, raggiungendo così la sponda del torrente Titerno. Segue verso est la riva del corso d'acqua sino ad incontrare il confine comunale di Cerreto Sannita, da qui segue l'affluente di sinistra del torrente Titerno passando a sud del centro abitato di Cerreto Sannita fino ad incrociare il sentiero che si congiunge alla strada per il convento dei cappuccini in prossimità dei ruderi. Una volta incrociato il sentiero lo segue verso sud costeggiando le località Lomia di Spita e Cesine di Sopra e passando per le quote 380, 424, 425, 433, 415, 417 e 379; raggiunge il confine comunale di Guardia Sanframondi che segue verso est raggiungendo, in prossimità delle Ripe del Corvo, il punto di incrocio dei confini comunali da cui era iniziata la delimitazione.

3.3 delimitazione della sottozona “Guardia Sanframondi” o "Guardiolo
La zona di produzione delle uve, comprende l'intero territorio amministrativo dei comuni di Guardia Sanframondi, San Lorenzo Maggiore, San Lupo e Castelvenere in provincia di Benevento, così come già delimitata con decreto ministeriale 2 agosto 1993 pubblicato nella G.U. n 193 del 18 agosto 1993.

3. 4 delimitazione della sottozona "Taburno
La zona di produzione delle uve, comprende l'intero territorio amministrativo dei comuni di ApolIosa, Bonea, Campoli del Monte Taburno, Castelpoto, Foglianise, Montesarchio, Paupisi, Torrecuso e Ponte ed in parte il territorio dei comuni di Benevento, Cautano, Vitulano e Tocco Caudio, tutti in provincia di Benevento, così come già delimitata con DPR 29.10.1986 sostituito con decreto ministeriale 2 agosto 1993 pubblicato nella G.U. n 201 del 27 agosto 1993. Tale zona è così delimitata: partendo dal confine tra i comuni di Apollosa e Benevento e segnatamente al km 256 della via Appia, strada statale n. 7, la linea di delimitazione segue verso nord il torrente Serretelle fino ad incrociare il fiume Calore. Segue questo confine per due chilometri circa fino ad incontrare la linea ferroviaria Benevento - Caserta, seguendola verso est fino ad incrociare la s.s. n. 88 dei due Principati, che percorre fino al confine del comune di Torrecuso a quota 248. Segue questo confine deviando ancora ad est al km 80 della stessa strada statale n. 88 e prosegue sempre lungo il confine comunale verso ovest, quasi sempre sulla direttrice, fino ad incontrare il confine del comune di Ponte. Segue detto confine comunale di Paupisi fino ad incontrare quello di Torrecuso a quota 720. Segue per un breve tratto il confine comunale di Torrecuso fino ad arrivare alla località Monte S. Michele nel comune di Foglianise. Lungo lo stesso confine si arriva, poi, al torrente S. Menna, risalendo lo stesso fino alla località Madonna degli Angeli a quota 582, per un tratto di tre chilometri confinante con il comune di Vitulano. In località S. Giuseppe la delimitazione prosegue lungo la strada che collega casale Fuschi di Sotto, casale Resi e casale Tammari, svoltando verso sud all'altezza di Fontana Reale e segue il torrente del Palillo fino ad incrociare il confine del comune di Cautano. Scendendo ancora verso sud la linea di delimitazione attraversa la strada provinciale Vitulanese 1° tronco, a quota 291, si immette nel torrente Ienca e, proseguendo ancora, arriva ad incrociare la strada comunale Luciarco a quota 282. Segue detta strada per un tratto di circa 10 chilometri fino ad incrociare il confine del comune di Campoli del Monte Taburno all'altezza della strada provinciale Vitulanese a quota 423. Arrivati a questo punto la linea di delimitazione prosegue lungo i confini di Campoli del Monte Taburno fino a quota 502 per immettersi poi sulla strada comunale Cesine del comune di Tocco Caudio, che viene percorsa per un tratto fino ad incrociare la strada provinciale Friuni, dello stesso comune. Seguendo la strada provinciale Friuni, si scende verso sud fino ad immettersi nel torrente Castagnola e, proseguendo, si arriva ad incrociare la strada comunale Casino-Friuni a quota 559. Da questo punto si scende e, percorrendo sempre il confine comunale di Campoli del Monte Taburno si arriva ad incrociare il confine comunale di Montesarchio in prossimità della località Sperata. Seguendo il confine comunale di Montesarchio si incrocia quello di Bonea in località Sorgente Rivullo. Da questo punto, la linea di delimitazione segue il confine comunale di Bonea fino ad incrociare di nuovo quello di Montesarchio alla quota 269 nei pressi della s.s. n. 7. Segue il confine comunale di Montesarchio fino ad incontrare in località Tufara Valle, quello di Apollosa che segue fino ad incrociare il punto di partenza. A tale delimitazione devesi aggiungere una piccola area distaccata della stessa, appartenente al comune di Tocco Caudio e così delimitata: partendo dal cimitero di Tocco Caudio e procedendo verso nord si giunge alla contrada Sala e seguendo il confine verso est, che delimita i comuni di Cautano e Tocco Caudio, si arriva alla strada comunale Maione, percorrendola fino al torrente Tassi. Detto torrente viene percorso fino alla Chiesa S. Cosimo a quota 752 dove la delimitazione prosegue verso ovest fino ad incrociare il torrente Ienca percorrendolo fino al cimitero, punto da cui si era partiti.

3.5 delimitazione della sottozona " Sant’Agata dei Goti
La zona di produzione delle uve, comprende l'intero territorio amministrativo del comune di Sant'Agata dei Goti, in provincia di Benevento, così come già delimitata con decreto ministeriale 3 agosto 1993 pubblicato nella G.U. n 196 del 21 agosto 1993.

Inventario delle principali varietà di uve da vino

FALANGHINA B.

LEGAME CON LA ZONA GEOGRAFICA

Informazioni sulla zona geografica:

1) Fattori naturali rilevanti per il legame con la zona geografica
La zona geografica delimitata comprende l’intero territorio amministrativo della Provincia di Benevento. Il territorio interessato, dal punto di vista litologico e della geomorfologia, appare come una unità ben individuata. Il territorio interessato, dal punto di vista litologico e della geomorfologia, appare come una unità ben individuata.

La morfologia superficiale è caratterizzata da rilievi sempre intervallati da depressioni carsiche a fondo pianeggiante, e da incisioni che testimoniano la violenza di antiche fasi erosive quaternarie in conseguenza di eventi localizzati ed intensi. Dal punto di vista litologico le formazioni sulle quali si sviluppano i suoli sono sedimenti cartonatici mesozoico-terziari, o sedimenti terrigeni terziari, sedimenti clastici e piroclastici quaternari. I sedimenti cartonatici sono dolomie, calari dolomitici e calcari.

I sedimenti terrigeni sono costituiti da arenarie e da argille varicolori scagliose e si rinvengono affioranti su entrambi i versanti orientale e occidentale del Massico. Le coltri argillose sono costituite da argille rossomattone, verdi e grigie. Costituiscono i materiali di maggior interesse per il loro contributo alla pedogenesi, in concorso con i sedimenti clastici e piroclastici quaternari che ammantano quasi tutti i rilievi, colmano le depressioni e sono intimamente misti al substrato pedogenetico. I suoli dell’area sono i tipici Regosuoli. Il substrato predominate è costituito da rocce tenere arenarie, argilli, calcareniti.

L’orizzonte superficiale lavorato presenta struttura generalmente grumosa e, meno comunemente, poliedrica, da moderata a friabile, e, in profondità tende a divenire poliedrica, più resistente, con facce di pressione. E’ generalmente poco profondo, talvolta esile. Immediatamente sottostante è spesso presente un orizzonte a drenaggio lento, che costituisce la principale limitazione d’uso riscontrabile nel comprensorio; limitazione che può essere agevolmente superata mediante l’impiego di adeguata meccanizzazione e con appropriate pratiche agronomiche, considerato che i materiali di substrato sono generalmente teneri. Per quanto riguarda la granulometria prevalgono i costituenti di dimensioni sottili (inferire a 0,02 mm) e di conseguenza risultano generalmente elevati i valori dei contenuti d’acqua a diversi punti a potenziale caratteristico. La capacità per l’acqua è generalmente elevata e, come per le altre caratteristiche fisiche, può essere favorevolmente esaltata con la razionalizzazione delle pratiche agronomiche e della forma di utilizzazione del suolo.

I suoli sono prevalentemente saturi. Il carbonato di calcio è un costituente normalmente presente, anche in forma finemente diffusa o in forma di noduli di precipitazione. I terreni non risultano particolarmente ricchi di composti azotati ed organici, che possono esser agevolmente integrati con le normali pratiche di fertilizzazione. Nel caso dei materiali argillosi si tratta di un substrato dotato di capacità di scambio favorevole ad assicurare la adeguata disponibilità di nutritivi all’esplorazione radicale delle coltura arboree. Dall’esame complessivo dei caratteri generali del territorio, dei caratteri costituzionali dei suoli dominanti e dall’esame dei dati analitici, emerge che l’area risulta fortemente vocata alla coltivazione della vite, specie se supportata da idonee pratiche colturali relative alle lavorazioni del terreno. La zona, infine, è nel suo insieme collinare, con altimetria compresa tra i 200 e i 650 m slm.

Il clima rappresenta uno dei più importanti fattori di formazione del suolo e di regolazione di tutti gli eventi chimici e biochimici che in esso hanno sede, la sua evoluzione e degradazione, lo sviluppo e moltiplicazione dei microrganismi, la abitabilità per le colture, lo sviluppo e accrescimento delle essenze erbacee ed arboree. La zona si caratterizza per fondovalle riparati e ben esposti, a temperatura mite e piovosità intorno ai 1000 mm annui; alle quote più elevate, invece, gli inverni sono più freddi, le estati moderatamente calde, con una piovosità che può giungere i 1400 mm annui.
Si rilevano periodi di aridità da un massimo di 2 mesi (metà giugno, metà agosto) nelle zone ad altitudine più limitata, fino a divenire minimi nelle aree a quota più elevata. La distribuzione delle piogge segue l’andamento tipico delle aree interne, con massimi di piovosità in autunno e talvolta un secondo massimo in primavera.

Con questi andamenti le zone a quote inferiori non sono soggette a lisciviazione delle basi e il regime idro-meteorico non comporta asportazione di nutritivi. Nelle aree a quota maggiore la lisciviazione è limitata e risulta moderata dalla natura del substrato nel quale è generalmente presente il calcio che è fattore di stabilizzazione. Nel complesso l’intera zona presenta caratteristiche climatiche particolarmente favorevoli alla coltivazione della vite e ben armonizzate con le esigenze della coltura in corrispondenza delle diverse fasi fenologiche. La zona nel suo insieme è caratterizzata, infine, da una buona mobilità degli strati inferiori dell’atmosfera. Ciò comporta un sufficiente arieggiamento delle colture che costituisce un fattore favorevole all’attività vegetativa e alla sanità delle produzioni.

La viticoltura sannita, che si era caratterizzata nel passato come una viticoltura orientata essenzialmente, sia nella scelta dei vitigni che nella impostazione dei vigneti, verso la quantità, oggi appare profondamente modificata, tanto che l’area può essere considerata in Campania come quella dove il processo di ammodernamento dei vigneti è stato più intenso e radicale. La scelta dei sesti, delle forme di allevamento e dei sistemi di potatura, delle tecniche di coltivazione da adottare nei nuovi impianti è stata rigorosamente orientata verso criteri qualitativi. E’ così avvenuto che la raggiera, forma di allevamento adottata nella quasi totalità dei vigneti, con sesti ampi e elevato cariche di gemme per ceppo e per ettaro (100 – 150mila ad ettaro e 28 gemme a ceppo distribuite in 4 “archetti”), capace di indurre produzioni unitarie molto abbondanti, è stata in gran parte sostituita da forme d'allevamento a ridotto sviluppo per un maggior controllo della produttività.

I nuovi impianti e i reimpianti sono stati realizzati in gran parte a spalliera, con prevalenza del guyot, del cordone speronato e della cortina pendente; la distanza tra le viti è stata fortemente ridotta, scendendo sulla fila al di sotto del metro, con conseguente aumento della densità di impianto, fino a 6000 ceppi per ettaro, e una forte riduzione del numero di gemme per ceppo. Il rinnovo degli impianti è stato accompagnato da un ammodernamento e adeguamento delle tecniche di coltivazione, finalizzate al costante controllo della vigoria delle viti mediante una scelta ragionata, non solo del sesto e del portinnesto, ma anche della gestione del suolo e delle concimazioni, che tendono a mantenere le piante in equilibrio e in situazione di nutrizione ottimale, basandosi sulle indicazioni fornite dalla diagnostica fogliare e dalle analisi fisico-chimiche del terreno e sul comportamento vegeto-produttivo delle piante.

La difesa fitosanitaria si ispira ai principi fissati dalla lotta guidata, sulla base delle indicazioni formulate dall’Amministrazione Regionale nell’ambito dei Piani di difesa. Nel complesso la razionalizzazione del processo produttivo e le specializzazione colturale consente da una parte il contenimento dei costi di produzione dall’altra un miglioramento qualitativo delle produzioni. Negli anni ’70 la provincia di Benevento è quella che ha visto più radicalmente delle altre province campane modificare l’originaria base ampelografica.

Il Trebbiano toscano, le varie Malvasie, in particolare quella di Candia, il Sangiovese sono stati i vitigni prescelti nella realizzazione degli impianti, ma consistente è stata anche l'introduzione del Montepulciano, del Merlot, del Lambrusco. Successivamente si è assistito ad una rapida e convinta inversione di tendenza, voluta dai produttori, dalle categorie e favorita dall'Amministrazione regionale sia mediante una profonda revisione della piattaforma enografica provinciale, sia mediante l'attivazione di opportuni interventi di sostegno.

Il filo conduttore è rappresentato dalla valorizzazione dei vitigni autoctoni di pregio, in particolare la Falanghina, la Coda di volpe, il Greco, l'Aglianico e il Piedirosso, che sono stati largamente utilizzati nel rinnovo degli impianti viticoli, divenendo oggi largamente prevalenti nella zona a denominazione. In considerazione dei successi commerciali dei vini prodotti l’interesse dei viticoltori si è in particolare concentrata sull’Aglianico che oggi rappresenta oltre il 50 % della superficie vitata iscritta all’Albo.

Nel caso dell’Aglianico viene data preferenza a cloni di Aglianico selezionati in zona e certificati dal Ministero, che offrono maggiori garanzie sulle caratteristiche genetiche e sanitarie e sull'omogeneità del materiale impiegato. Particolare attenzione viene posta anche alla scelta del portinnesto che viene fatta in primo luogo adottando genotipi che oltre a dimostrare una ottima resistenza alla fillossera e un buon adattamento alle condizioni pedologiche della zona sono idonei ad esercitare il controllo della vigoria e dello sviluppo della pianta, in armonia con il sistema di allevamento adotto. Il profondo ammodernamento della viticoltura della zona, con la realizzazione di vigneti specializzati, a sesti fitti e forme di allevamento a spalliera, trova riscontro nelle produzioni conseguite dai vigneti iscritti alla DOC. Molti vigneti sono stati reimpiantati seguendo le indicazioni delle istituzioni regionali, in prevalenza adottando forme di allevamento che rispettano criteri minimi imposti dall’OCM.

Nello specifico le aziende del territorio hanno adottato ulteriori criteri restrittivi, rifacendosi ad una viticoltura moderna. Sesti di impianto che vanno da condizioni massimo di circa mt 2,50 tra i filari e minimo 2 mt, con distanze sul filare tra le viti da circa mt 0,80 a mt 1,60. La densità di viti per ettaro si attesta nei nuovi impianti da minimo 2500 piante a casi particolari fino a 7000/8000 piante per Ha. Il carico delle gemme per ogni vite va da un minimo di circa 8/10 gemme a non più di 15/20 gemme a frutto. La produzione mediamente va da un massimo di circa 5 kg per ceppo a produzioni altamente qualitative che prevedono una produzione per ceppo di kg 1,5. Tali limiti sono assicurati dal diradamento, che ormai è divenuto una pratica largamente utilizzata dai viticoltori della zona, a testimonianza della conversione, ormai compiuta, dai produttori alla viticoltura di qualità e, quindi, ai vini di pregio.

L’irrigazione solitamente non è una pratica usata nella provincia di Benevento. Può essere adottata solo in casi di soccorso in annate sfavorevoli. Non a caso dalla consultazione dell’Albo e delle rese per ettaro si evince che la resa in vigneto, pur raggiungendo livelli importanti, è sensibilmente inferiore ai limiti fissati dal Disciplinare. I vigneti coltivati nella provincia di Benevento, in funzione delle varietà ed epoche di maturazione, hanno una altitudine media che va dai 50 metri s.l.m. fino ad altezze massime di circa 500 metri s.l.m.

2) Fattori umani rilevanti per il legame con la zona geografica
Di fondamentale importanza nella produzione del vino Falanghina del Sannio DOP sono i fattori umani legati al territorio di produzione. In base ai ritrovamenti effettuati ed a studi realizzati si può affermare che la coltivazione della vite nella provincia di Benevento ha origini antiche risalenti al II secolo a.C. Nel paese di Dugenta fu ritrovato un imponente deposito, con relativo forno di produzione, di anfore utilizzate per la conservazione ed il commercio del vino. Gli studiosi hanno convenuto che sicuramente questa era una fabbrica di anfore costruita in una area particolarmente idonea alla produzione e allo smercio del vino, situata lungo la riva sinistra del fiume Volturno del quale è affluente il fiume Calore che attraversa l’intera provincia di Benevento. Le anfore ritrovate in provincia di Benevento, venivano prodotte solo in due luoghi, a Dugenta e ad Anzio e venivano utilizzate in un area compresa tra l’Etruria meridionale, Lazio, Campania e Sannio. Sicuramente il paese di Dugenta rivestiva un ruolo importante nella commercializzazione dei vini in epoca romana, in quanto la produzione di vino soddisfaceva abbondantemente la richiesta locale e quindi il vino veniva venduto anche al di fuori dei confini regionali, questo è testimoniato dal fatto che anfore realizzate a Dugenta sono state ritrovate in Inghilterra del sud e Africa del nord. Gran parte del vino prodotto nella provincia di Benevento e quello proveniente anche da altre parti d’Italia veniva venduto al mercato vinicolo di Pompei secondo solo a quello di Roma. In base agli studi effettuati da Attilio Scienza, una forte classe di produttori di vino di origine sannita sarebbe stata presente nella composizione etnica di Pompei, a conferma che la cultura del vino nel Sannio è stata contemporanea se non precedente, all’epoca romana. Il Sannio per molti secoli ha rappresentato il collegamento naturale tra la Puglia e la Campania. Attraverso i sentieri della transumanza i Sanniti hanno conosciuto il mondo del vino Abruzzese e Pugliese attraverso i quali hanno portato nel Sannio i vitigni greci dell’Epiro. Attilio Scienza afferma che del vino sannita troviamo citazioni di Platone comico, commediografo ateniese della seconda metà del V secolo a.C., che parlava dell’eccellente vino di Benevento dal lieve aroma fumé ; inoltre secondo Scienza del vino sannita ne parla anche Plinio nella Naturalis Historia, il quale sosteneva che il vino Kapnios avesse nel Sannio una delle sue patrie d’elezione. Il sapore fumé del vino Kapnios potrebbe non solo essere derivato da una tecnica di appassimento delle uve o dall’affumicamento di queste, ma addirittura dalle caratteristiche stesse dell’uva. Un’altra importante testimonianza che i Sanniti si dedicassero alla coltivazione della vite e alla produzione del vino, è che quando sul finire del V secolo a.C. famiglie di stirpe sannita si stabilirono nella Valle del Volturno, si è avuto uno sviluppo economico di queste area grazie alla produzione del Trebula balliensis, così come riferito da Plino il vecchio nella sua Naturalis Historia. Nel beneventano come nel resto della Campania la viticultura conobbe una crisi dovuta al cambiamento del gusto del mercato romano che scoprì i vini più leggeri e profumati dell’Italia settentrionale e della Gallia. Il primo vino Gallico arrivò a Roma nel 79 d.C. Un inversione di tendenza la si ebbe solo intorno al 500 d.C. grazie ai Longobardi, che non solo importarono vitigni di origine pannonica, ma protessero le vigne dall’espianto addirittura con la pena di morte. Anche Carlo Magno si occupò attraverso il Capitulare de Villis della cura della vite, ma fu grazie alla chiesa che intorno all’anno 1000 si ebbe il definitivo rilancio della coltivazione della vite che coinvolse anche il territorio sannita. Fu proprio un sacerdote, il vescovo di Benevento Landulfo, a pretendere che vicino ad ogni monastero fossero impiantati dei vigneti, favorendo il rilancio della viticultura soprattutto nella zona di Solopaca come dimostra la presenza di venditori di vino in documenti del 1100. In questo periodo, e fino al 1400, molti vini beneventani grazie alla possibilità di sfruttare i fiumi navigabili che attraversavano la provincia, arrivavano ai porti di Gaeta e di Napoli i più grandi porti di smistamento dei vini per l’intero Mediterraneo e per i mari del Nord. A Napoli in quegli anni venivano trasportati ingenti quantità di vino dall’entroterra Beneventano ed Avellinese, ed assieme ai vini fermi venivano trasportati anche vini dolci molto richiesti dal mercato europeo in quel periodo.

La classe mercantile beneventana in quegli anni diventò la più forte della regione Campania, in quanto poteva godere degli enormi benefici derivanti dal fatto che i territori della provincia di Benevento erano sotto il governo dello Stato della Chiesa. Per una prima descrizione su base scientifica della viticoltura beneventana dobbiamo attendere la Statistica murattiana del 1811, il primo e vero studio del territorio sannita che ha permesso di conoscere le produzioni della provincia di Benevento e di ricostruire le condizioni economiche- sociali e gli stili di vita della popolazione sannita. Da questo studio si evince che che la provincia di Benevento produceva vini che soddisfacevano le diverse richieste del mercato infatti il vino di Cerreto Sannita veniva considerato molto pregiato assieme a quello di Solopaca, Frasso Telesino, Melizzano e venivano venduti sul mercato regionale ed extra-regionale; quelli di Sant’Agata dei Goti venivano venduti solo sul mercato provinciale, mentre a Guardia Sanframondi si produceva un vino dolce e liquoroso simile a quello di Malaga.

Da Cerreto Sannita e Guardia Sanframondi partiva nel 1811 il più alto numero di barili di vino per la capitale, 79.229, contro i 31.281 di Airola, i 12.557 di Solopaca e i 10.470 di Sant’Agata dei Goti. Per quanto riguarda il numero di vigne Cerreto Sannita e Guardia Sanframondi non superavano di molto Solopaca infatti nei due comuni se ne trovavano circa 3.480 ed invece nel solo comune di Solopaca se ne potevamo trovare circa 2.880. Sempre agli inizi dell’Ottecento c’è testimonianza di un ottimo vino prodotto anche nei comuni di Pontelandolfo, Baselice e Foiano in Val Fortore. Nel 1872 un grosso studioso, Giuseppe Frojo, incominciò a parlare di vitigno in senso scientifico e sostienne che le migliori uve della regione Campania erano il Pallagrello, oggi diffuso solo nella provincia di Caserta, ma lodava anche le uve Aglianico, Sciascinoso, il Piede di Colombo (Piedirosso), Greco e Fiano, tutti vitigni coltivati nella provincia di Benevento.

Circa venti anni dopo Frojo, fu il Ministero dell’Agricoltura a fare un’accurata analisi delle uve presenti su territorio sannita. L’Aglianico restava il vitigno predominate, seguito dal Piedirosso, l’Aglianicone, il Gigante, il Mangiaguerra, la Tintiglia di Spagnala Vernacciola e il Sommarello. Tra i vini a bacca bianca si notano il Bombino, l’Amoroso bianco, la Passolara, il Greco, la Malvasia, il Moscatello e la Coda di Volpe. In questo periodo il vino prodotto è destinato al consumo interno, in quanto in provincia di Benevento stava nascendo una classe borghese più attenta e sensibile alla buona tavola, ma anche trasportato il nord Italia in quanto molto apprezzato e richiesto. Negli anni in cui Frojo compiva i suoi studi, la superficie vitata della provincia di Benevento era rappresentata da poco più di 15.000 ettari, estensione che pur ponendo la provincia ultima nella classifica regionale, la rendeva seconda sola a Napoli per rapporto fra territorio e superficie, mentre a partire dal 1904 e almeno fino al 1924 i terreni a vigna erano più che raddoppiati. Negli anni che andavano dal 1896 al 1910 il vigneto sannita si arricchì di 8.046 ettari, pari ad un incremento del 46%.

Dopo l’unità d’Italia nel vigneto sannita vengono coltivate anche altri tipi di vitigni nazionali ed internazionali come il Sangiovese, Barbera, Cabernet Sauvignon, Malbek, Sirah, Erbaluce, Semillon, Pinot e Riesling renano. Dopo le due grandi guerre mondiali, vi fu un risveglio in tutti i settori produttivi che influenzò anche quello agricolo, e nella provincia di Benevento si verificò che i contadini, fino ad allora solo conduttori dei terreni, ne acquisirono anche le proprietà. In questo periodo la produzione delle uve aumentò sensibilmente nella provincia di Benevento, favorendo da una parte la nascita del primo Enopolio nella provincia a Solopaca che vantava una capacità di 13 mila ettolitri contro i soli cinquemila dell’Enopolio napoletano, ma dall’altra lo sfruttamento dei grossi mediatori nei confronti dei piccoli produttori. In realtà neanche la creazione dell’Enopolio di Solopaca contribuì a migliorare la condizione dei piccoli produttori e quindi nacquero con il passare degli anni le quattro Cantine sociali ancora oggi operanti sul territorio sannita, La Guardiense, la Cantina sociale di Solopaca e La Cantina del Taburno e il CECAS (Centro Cooperativo Agricolo Sannita).

Il compito fondamentale delle cantine sociali fu quello di raccogliere, trasformare e vendere, le uve provenienti dalle diverse zone della provincia di Benevento, in modo da sostenere i piccoli produttori e favorire lo sviluppo della viticoltura nel Sannio. Negli anni settanta ad opera di un produttore della provincia di Benevento avviene un cambiamento radicale nelle produzioni del territorio sannita. Il produttore Leonardo Mustilli infatti riscopre la Falanghina, vitigno autoctono a bacca bianca, poco conosciuto e poco coltivato. La Falanghina di Mustilli fece compiere il salto di qualità ai vini della provincia di Benevento, in quanto ebbe un apprezzamento unanime e diffuso, che i vini sanniti, seppur riconosciuti come ottimi vini, non avevano mai riscosso. La Falanghina fu lavorata per la prima volta in purezza e questo tipo di lavorazione diede ottimi risultati. Grazie alla lavorazione della Falanghina in purezza, nel territorio sannita si sgretolò l’idea dei blend e si incominciarono ad elaborare vini in assoluta purezza anche con gli altri vitigni da sempre presenti sul territorio sannita.

Il lavoro di Leonardo Mustilli fu importante per l’intero comparto vitivinicolo sannita che, a partire dagli anni Ottanta, ha intrapreso un lento ma graduale percorso verso la qualità. Nel rilancio della viticoltura del Sannio Beneventano ha rivestito un ruolo molto importante il vitigno Falanghina. Nel corso dei secoli, il nome “Falanghina” ha subito leggerissime variazioni che consistono soprattutto in sostituzioni di vocali: Falanghina o di consonanti: Falanghina. Non sono noti altri sinonimi che indichino il vitigno, se si fa eccezione per la definizione di Uva Falerna o Falernina che erroneamente il Bordignon trae dal Frojo il quale intendeva soltanto paragonare la bontà del vino di Falanghina a quello molto più famoso del Falerno ma non riteneva certamente identici i due vitigni.

E’ opinione diffusa ma non storicamente accertata che il nome “Falanghina” derivi da “Falanga”, “palo di legno” al quale i ceppi di vite sarebbero stati appoggiati ed allevati verso l’alto. L’attribuzione di una radice etimologica colta dei nomi delle uve campane è operazione non priva di rischi e contraddizioni. Infatti, se si risale al termine greco jάlagx (falags) si trova che esso assume diversi significati: esercito schierato, cilindro di legno per spostare corpi pesanti, grosso legno cilindrico o bastone, ragno velenoso, articolazione delle dita e nessuno di essi può essere univocamente considerato l’origine del nome Falanghina.

Un altro termine greco jalάggion (phalaggion), dalla stessa radice etimologica, foneticamente più simile al nome del vitigno, indica invece un tipo di erba o una specie di ragno. Forse nessun’altra specie coltivata, come la vite, ha dato origine ad una progenie di varietà così numerosa tanto da indurre già Virgilio (“…che se qualcuno vuole saperlo (il numero) vada costui nel deserto Libico e conti i granelli di sabbia che il vento tormenta”, Georgica II 104-6), Columella e Plinio a tentare in qualche modo di mettere ordine nel mare magnum dei vitigni allora conosciuti.

L’ampelografia, come classificazione della vite, è perciò una disciplina molto antica ma, come strumento di identificazione e di confronto varietale, prende forma organica all’inizio dell’800 e, nel corso dei decenni, verrà sempre più perfezionata fino ad arrivare all’elaborazione di un “Codice internazionale dei caratteri descrittivi delle varietà e specie di vite” da parte dell’”Office International de la Vigne et du Vin” (OIV), con lo scopo di rendere “oggettive” e perciò confrontabili le descrizioni morfologiche dei diversi vitigni, realizzate da ampelografi diversi. Quanto fosse importante avere dei criteri scientifici uniformi lo si può ricavare dall’osservazione delle diverse descrizioni della Falanghina fatte nel corso dei decenni.

Il grappolo, ad esempio, può essere allungato, semplice e poco ramoso o piramidale e alato, la forma dell’acino varia dallo sferoide all’ellissoide al decisamente ovale, la foglia va da una forma quasi rotonda all’allungata, dal glabro al lanuginosa, dai seni laterali appena accennati a molto profondi. La stessa destinazione d’uso non coincide: qualcuno la inserisce tra le uve da tavola (Gasparrini e Carusi) ed altri tra le uve da vino. La descrizione più completa e che tra l’altro coincide con il biotipo di Falanghina attualmente più coltivato nella provincia di Napoli è quella realizzata da Sante Bordignon nel 1965. E’ interessante notare che, in questo lavoro, viene citata una Falanghina Mascolina, poco diffusa già in quegli anni, per distinguerla da quella Verace. Un recente sopralluogo nei vigneti del lago d’Averno ha portato al ritrovamento di alcuni ceppi di una Falanghina piccola, per il grappolo di ridotte dimensioni, che potrebbe coincidere con la Mascolina citata da Bordignon, sparita dalla coltivazione proprio perché meno produttiva.

Nel beneventano è diffuso un altro biotipo di Falanghina, morfologicamente e fisiologicamente diverso da quello presente nel napoletano (20) ed i cui caratteri in parte sono simili a quelli riportati da Carusi nel 1883. L’ampelografia descrittiva più avanzata, come quella elaborata dall’OIV, non dirime tutti i dubbi sull’identità delle varietà di vite o su possibili casi di sinonimia od omonimia. E’ possibile infatti che due varietà diverse abbiano molti caratteri morfologici coincidenti o che la sensibilità del rilevatore ampelografico non sia sufficientemente affinata. Dagli inizi degli anni novanta, sono state perciò messe a punto tecniche più oggettive di identificazione varietale, basate su criteri analitici biochimici e non più descrittivi. Sono quindi state sviluppate diverse tecniche di indagine varietale: profili isoenzimatici e uso dei marcatori molecolari del DNA. Proprio associando i criteri descrittivi con le tecniche di caratterizzazione genetica delle varietà si è potuto stabilire con precisione che la Falanghina è una varietà originale, non coincidente con altre varietà di vite campane o extra regionali, perlomeno fino allo stato attuale delle ricerche internazionali e che i due biotipi di Falanghina, attualmente diffusi in provincia di Napoli e di Benevento mostrano una distanza genetica importante.

Negli anni settanta ad opera di un produttore della provincia di Benevento avviene un cambiamento radicale nelle produzioni del territorio sannita. Il produttore Leonardo Mustilli infatti riscopre la Falanghina, vitigno autoctono a bacca bianca, poco conosciuto e poco coltivato. La Falanghina di Mustilli fece compiere il salto di qualità ai vini della provincia di Benevento, in quanto ebbe un apprezzamento unanime e diffuso, che i vini sanniti, seppur riconosciuti come ottimi vini, non avevano mai riscosso.

La Falanghina fu lavorata per la prima volta in purezza e questo tipo di lavorazione diede ottimi risultati. Grazie alla lavorazione della Falanghina in purezza, nel territorio sannita si sgretolò l’idea dei blend e si incominciarono ad elaborare vini in assoluta purezza anche con gli altri vitigni da sempre presenti sul territorio sannita. Il lavoro di Leonardo Mustilli fu importante per l’intero comparto vitivinicolo sannita che, a partire dagli anni Ottanta, ha intrapreso un lento ma graduale percorso verso la qualità. Da venti anni a questa parte, Benevento è la prima provincia campana per quantità di vino prodotto oltre che per vigneti.


Informazioni sul prodotto:
I vini di cui al presente documento presentano, dal punto di vista analitico ed organolettico, caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6, che ne permettono una chiara individuazione e tipizzazione legata all'ambiente geografico. In particolare il vino Falanghina presenta caratteristiche chimico-fisiche equilibrate in tutte le tipologie, mentre al sapore e all'odore si riscontrano aromi prevalenti tipici del vitigno.

Legame causale:
L’orografia collinare e montuosa del territorio di produzione e l'esposizione prevalente dei vigneti. orientati a sud, sud-est, localizzati in zone particolarmente vocate alla coltivazione della vite, concorrono a determinare un ambiente adeguatamente ventilato, luminoso, favorevole all'espletamento di tutte le funzioni vegeto-produttive della pianta. Nella scelta delle aree di produzione vengono privilegiati i terreni con buona esposizione adatti ad una viticoltura di qualità. La millenaria storia vitivinicola della provincia di Benevento, che parte dal II secolo a.C., passa per il medioevo e giunge ai nostri giorni, attestata da numerosi documenti, è la fondamentale prova della stretta connessione ed interazione esistente tra i fattori umani e le qualità peculiari del territorio e dei vitigni dai quali si ottiene il vino “Falanghina del Sannio DOP”.

 

Nome e titolo del richiedente: Samnium Consorzio Tutela Vini
Status giuridico, dimensioni e composizione (per le persone giuridiche): Consorzio Tutela
Nazionalità: Italia
Indirizzo: 1 Piazza IV Novembre
82100 Benevento
Italia
Telefono: +3908241815763
Fax: +3908241810857
e-mail: consorzio@samnium.eu

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