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Casavecchia di Pontelatone Doc

Pubblicato da disciplinare

La zona di origine delle uve idonee a produrre il vino DOC “Casavecchia di Pontelatone” comprende l’intero territorio amministrativo del comune di Liberi e Formicola e parte dei comuni di Pontelatone, Caiazzo, Castel di Sasso, Castel Campagnano, Piana di Monte Verna e Ruviano, tutti in provincia di Caserta.

Fisicamente i confini sono così individuati: Partendo da nord dall’intersezione tra il limite amministrativo del comune di Ruviano e la strada comunale San Domenico in località Composto, si prosegue in direzione Sud, fino al centro abitato di Ruviano. Da qui si prosegue con la ex strada statale 87 e successivamente con la Strada Provinciale Castel Campagnano – Piana di Monte Verna fino all’incrocio con la ex strada Statale 87. Da detto incrocio si prosegue verso Ovest con la Strada Provinciale 264 Piana di Monte Verna – Trifilisco fino in località Barignano, Taverna Nuova, raggiungendo successivamente il confine amministrativo dei comuni di Pontelatone, Formicola, di nuovo Pontelatone, Liberi, chiazzo e Ruviano terminando con il ricongiungimento con la strada comunale San Domenico in località Composto.

Varietà di uve da vino elencate dall'OIV

Casavecchia N

LEGAME CON LA ZONA GEOGRAFICA DOC Casavecchia di Pontelatone

Informazioni sulla zona geografica:
Fattori storici La storia popolare, molto diffusa nelle persone del luogo, vuole che il Casavecchia abbia avuto origine da seme, nei pressi di un antico rudere del quale esistono ancora oggi i muri perimetrali, sito nei pressi della vecchia masseria denominata “Ciesi”, nel comune di Pontelatone a pochi passi dal braccio entroterra dell’antichissima via latina che dall’antica Capua portava ad Alife. Secondo il detto popolare fu un certo Scirocco Prisco, nato a Pontelatone nel 1875 e ivi morto nel 1962 (Archivio dell’Interdiocesi di Caiazzo) a rinvenire verso la fine del XIX secolo, nei pressi del citato rudere (di sua proprietà) la prima vite di Casavecchia. Egli stesso iniziò a riprodurla per propaggine e da qui si diffuse nei vicini comuni di Castel di Sasso, Formicola e Liberi. Sembra che la gente del posto iniziò a dire in gergo dialettale “l’uva e chella casa vecchia” da cui derivò il toponimo Casavecchia. Da colloqui con i due figli ancora in vita del Prisco Scirocco, Guarino e Giuseppina, nati rispettivamente nel 1930 e nel 1923 a Pontelatone, sembra che suo padre trovò all’età di circa 25 anni, (quindi intorno al 1900) realmente la prima vite di Casavecchia nel posto indicato dalla leggenda e che al momento del rinvenimento avesse già un’età consistente (diametro del fusto di almeno 40 cm). Le testimonianze di Scirocco Giuseppina e di Scirocco Guarino mettono fortemente in discussione l’attendibilità del detto popolare, proprio perché secondo loro, il padre trovò la prima vite Casavecchia che aveva già un’età consistente, pertanto non si può essere certi del fatto che sia nata effettivamente da seme, per la mancanza di documenti storici e di testimonianze attendibili in merito. Le ipotesi alternative al detto popolare potrebbero essere diverse, si potrebbe pensare realmente ad una vite nata da seme molto tempo prima del suo rinvenimento, ma anche all’ipotesi secondo la quale una popolazione del vitigno Casavecchia già era diffusa nella zona e che nei pressi del vecchio rudere un unica pianta sia sfuggita all’abbandono e alla successiva estinzione. La seconda delle suddette ipotesi sembra trovare un importantissimo riscontro con avvenimenti storici accuratamente documentati. Secondo le ricerche dei geologi, infatti, oltre al periodo freddo umido del tardo-antico tra V e VIII sec., il bacino del mediterraneo sarebbe stato interessato da un altro grande ciclo freddo-umido tra il XVI e la metà del XIX sec.; in Campania questo secondo ciclo si può ritenere concluso dalla epidemia di oidio che nel 1851 colpì la viticoltura, danneggiando e talvolta distruggendo vigneti ed arbusteti, non solo in una vasta area intorno al golfo di Napoli, le isole, il Vesuvio e la pianura campana, ma dilagando anche nelle limitrofe aree regionali (Guadagno G., 1997). Come recita la relazione presentata alla Reale Accademia delle Scienze nel 1851 dalla commissione appositamente costituita «... in provincia di terra di lavoro... Il male passava di là dai monti che circondano la pianura campana alle provincie limitrofe…». Se si fa riferimento alla predetta relazione che rappresenta l’area interessata dalla epidemia oidica che nel 1851 colpì la Campania, si nota che la zona in cui oggi è diffuso il vitigno Casavecchia fu interessata da tali vicende storiche. Valutando le testimonianze dei due figli del Prisco Scirocco, tra l’altro molto più attendibili del detto popolare, si capisce che le origini di quella prima vite di Casavecchia sono antecedenti all’infestazione oidica del 1851. Appare chiaro che esiste una indubbia ed inequivocabile collimazione geografica oltre che temporale tra la documentata relazione sull’infestazione oidica del 1851 e i fatti emersi dalle testimonianze dei due figli del Prisco Scirocco, per questo è possibile quanto spontaneo rafforzare l’ipotesi secondo la quale una popolazione del vitigno Casavecchia già era diffusa nell’area in studio o addirittura in Terra di lavoro ancor prima del XIX secolo e che il periodo di freddo umido prima e l’infestazione oidica del 1851 poi, abbiano portato ad una sua estinzione; così la pianta (già vecchia) trovata verso la fine del XIX secolo sarebbe stata l’unica superstite di quella popolazione per cause ancora tutte da chiarire.


Fattori naturali
Risalendo il fiume Volturno, appena a nord di Capua, la piatta morfologia della Conca Campana è interrotta da una serie di rilievi che possono essere raggruppati in due gruppi montuosi, culminanti a nord nel Monte Maggiore (m 1037 s.l.m.) ed a sud nel Monte Tifata (m 602 s.l.m.). Questi, separati tra loro dal corso del fiume Volturno, si elevano dalla piana casertana con un contrasto morfologico che è reso ancor più evidente dall’assenza quasi totale di coltre detritica pedemontana. I rilievi settentrionali, di grossolana forma quadrangolare, presentano una tettonica plio-quaternaria, caratterizzata da faglie dirette con prevalente orientamento appenninico ed è l’elemento morfogenetico più importante dell’area. Il territorio in studio è compreso proprio tra il massiccio del Monte Maggiore e i Monti tifatini. I suoli agricoli pianeggianti dei comuni di Pontelatone e di Castel di Sasso (comuni confinanti), sono chiusi ad ovest da una monoclinale costituita dal Monte Pozzillo (m 535 s.l.m.) e dal Monte grande (m 367 s.l.m.) che dal M. Maggiore in direzione appenninica raggiunge il M. Tifata, separata da quest’ultimo solo dal corso del fiume Volturno. A nord-est i suoli in oggetto sono chiusi da un’altra dorsale, costituita principalmente dal Monte Maiulo (m 430 s.l.m.), dal M. Fallano (m 318 s.l.m.) e dal M. Friento (m 730 s.l.m.) (foglio n° 172 della carta d’Italia. I.G.M.) A nord-est dei Monti tifatini, in corrispondenza della zona collinare del comune di Castel di Sasso, la morfologia si fa più dolce: trattasi di tipi litologici poco coerenti che subiscono intensamente l’azione erosiva delle acque superficiali (Celico et al., 1977). Sia nel comune di Castel di Sasso che in quello di Pontelatone, i suoli agricoli presenti possono essere distinti in tre tipi principali: suoli detritici alluvionali; suoli di natura piroclastica; suoli arenaceo-argillosi. Nei primi, a ridosso del Fiume Volturno, si ha una disordinata alternanza di terreni ad eterogenea granulometria, costituiti da sabbie, limi, lenti di ghiaie poligeniche e da minuto detrito calcareo in vicinanza dei rilievi. Presentano permeabilità per porosità, globalmente bassa, ma puntualmente variabile in funzione della granulometria (Celico et al., 1977). I suoli piroclastici, occupano la parte valliva e pianeggiante dei rispettivi comuni di Pontelatone e di Castel di Sasso, dai terreni alluvionali a ridosso del fiume Volturno si spingono fino alla parte collinare, occupando così un’area abbastanza estesa. In profondità presentano Ignimbrite Trachifonolitica, costituita da un compatto ammasso di pomici, scorie e lapilli, in prevalente matrice cineritica, in superficie piroclastiti sciolte (Celico et al., 1977). La parte collinare del comune di Pontelatone che abbraccia il Monte Friento con le comunicanti colline di Castel di Sasso che a partire dalla parte valliva si spingono fino a Piana di Monte Verna e a Caiazzo, presentano suoli di tipo arenaceoargillosi, costituiti da argille, arenarie arcosico-litiche, ricche di frammenti argillosi, lembi di argille varicolori, frequenti e, talvolta voluminosi, esotici carbonatici. Questi suoli hanno una bassa permeabilità per l’esiguo lume dei pori; solo nei terreni arenacei sussiste una modesta permeabilità per fratture (Celico et al., 1977).
La temperatura media annua è di 15,6°C, la media annua delle minime è di 10,93°C, mentre la media annua delle massime è di 20,21°C. I mesi più freddi sono gennaio e febbraio con temperature medie delle minime di 4,8°C e di 4,7°C, quello più caldo è agosto con una temperatura media delle massime di 30,17°C. L’escursione termica diurna è massima nel mese di luglio (11,45°C), minima nel mese di dicembre (6,28°C). La precipitazione media annua è di 970 mm; nei mesi autunno-invernali-primaverili si ha la massima concentrazione delle piogge: da ottobre a marzo ne cadono infatti mediamente ben 736,6 mm sui 970 totali (il 76 %). Il mese più piovoso è novembre con una piovosità media di 148,3 mm, quello meno piovoso è agosto con una media di 15,9 mm di pioggia caduta. Per quanto riguarda l’umidità relativa la media annua delle minime mensili è del 52,37 %, la media annua delle massime mensili è del 91,48 %, la media annua è del 66,11 %. I mesi più umidi sono novembre e dicembre con le rispettive umidità relative medie del 76,8 % e del 76,3 %, quelli meno umidi sono giugno e agosto con le rispettive umidità relative medie del 67,57 % e del 67,56%. Si noti che nel periodo coincidente con la fase finale della maturazione dell’uva “Casavecchia” (settembre-ottobre), si ha un notevole livello di umidità relativa: del 74,15 % nel mese di settembre; del 73 % nel mese di ottobre.


Fattori umani
Le diverse etnie e popoli che in esso si sono succedute, hanno avuto sicuramente i loro effetti sul tipo di viticoltura esistente. L’intera area ha conservato una base ampelografica molto interessante, come è interessante notare che l’Aglianico pur essendo il vanto della odierna viticoltura campana, sia poco diffuso. Probabilmente nella zona considerata ci sono sempre stati antichi vitigni autoctoni della Campania come il Casavecchia o anche il Piedirosso, che hanno costituito sin dall’antichità la vera base ampelografica locale, alla quale la gente del posto è stata sempre molto legata. Anche nell’ottica di una modernizzazione e razionalizzazione della viticoltura esistente, non si deve assolutamente compiere l’errore di stravolgere il quadro ampelografico della zona, perché frutto di scelte e di esperienze ultrasecolari.


Informazioni sul prodotto:
I vini di cui al presente disciplinare di produzione presentano, dal punto di vista analitico ed organolettico, caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico. In particolare tutti i vini presentano caratteristiche chimico-fisiche equilibrate in tutte le tipologie, mentre al sapore e all’odore si riscontrano aromi prevalenti tipici dei vitigni prevalentemente autoctoni.


Legame causale:
L’orografia del territorio di produzione e l’esposizione prevalente dei vigneti, localizzati in zone particolarmente vocate alla coltivazione della vite, concorrono a determinare un ambiente adeguatamente ventilato, luminoso, favorevole all’espletamento di tutte le funzioni vegeto-produttive della pianta. Nella scelta delle aree di produzione vengono privilegiati i terreni con buona esposizione adatti ad una viticoltura di qualità.

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