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Capalbio Doc

Pubblicato da disciplinare

ZONA DELIMITATA
Parte del territorio dei comuni di Capalbio, Manciano, Magliano in Toscana e Orbetello, in provincia di Grosseto.

Inventario delle principali varietà di uve da vino

MALVASIA BIANCA DI CANDIA
LAMBRUSCO MAESTRI N.
PINOT NERO N.
PINOT GRIGIO G.
PINOT BIANCO B.
PETIT VERDOT N.
MULLER THURGAU B.
MONTEPULCIANO N.
MERLOT N.
MANZONI BIANCO B.
MALVASIA ISTRIANA B.
MALVASIA BIANCA LUNGA B.
GROPPELLO GENTILE N.
GRECHETTO B.
GAMAY N.
FIANO B.
CILIEGIOLO N.
Chardonnay
CESANESE D'AFFILE N
CARMENERE N.
Carignano N.
Canaiolo nero n.
CABERNET SAUVIGNON N.
CABERNET FRANC N.
BARBERA N.
ANCELLOTTA N.
ALICANTE N.
ALBANA B.
Vernaccia di S Gimignano b.
Vermentino B.
VERDICCHIO BIANCO B.
VERDELLO
VERDEA B.
TREBBIANO TOSCANO
TRAMINER AROMATICO Rs.
TEROLDEGO
TEMPRANILLO N.
SYRAH N.
SEMILLON B.
SCHIAVA GENTILE
SAUVIGNON B.
SANGIOVESE N.
SAGRANTINO N.
RIESLING ITALICO B.
RIESLING B.
REFOSCO DAL PEDUNCOLO ROSSO N.
REBO

Varietà di uve da vino elencate dall'OIV

Colombana Nera N
Colorino N
Roussane B
Bracciola Nera N
Clairette B
Greco B
Viogner B
Albarola B
Ansonica B
Foglia Tonda N
Abrusco N
Incrocio Bruni 54 B
Biancone B
Livornese Bianca B
Pugnitello N
Bonamico N
Mazzese N
Calabrese N
Malvasia Nera di Lecce N
Malvasia Nera di Brindisi N
Malvasia N
Pollera Nera N
Canina Nera N
Canaiolo Bianco B
Prugnolo Gentile N
Marsanne B
Mammolo N
Vermentino Nero N
Durella B
Barsaglina N
Malbech N
Caloria N
Groppello di S. Stefano N
Alicante Bouschet N

Altre varietà

Orpicchio B.
Petiti manseng B.
Sanforet N.

LEGAME CON LA ZONA GEOGRAFICA DOC "Capalbio"

Informazioni sulla zona geografica:

A.1. Fattori naturali rilevanti per il legame.
La zona geografica delimitata ricade nella parte meridionale della regione Toscana e, in particolare, nella zona collinare e pedecollinare dell’area sud della provincia di Grosseto, comprendendo parte dei territori amministrativi dei comuni di Capalbio, Manciano, Magliano e Orbetello. Il territorio è costituito da rilievi di bassa e media collina a pendenza media e alta, i cui terreni, relativamente all’origine geologica, sono caratterizzati da formazioni prevalentemente calcaree, anidritiche e gessose, la cui quota media è di 128 metri s.l.m. con una pendenza dell’11%. A sud di Capalbio si rinvengono terrazzi e ripiani di bassa quota a debole pendenza, su depositi alluvionali a granulometria mista e sedimenti marini sabbiosi, la cui quota media è di 97 metri s.l.m., con una pendenza del 2%. Il clima dell’area è di tipo mediterraneo, con temperature miti e precipitazioni disordinate, talvolta anche di elevata intensità, concentrate soprattutto nei mesi autunnali-invernali (massimo della piovosità localizzato tra la fine di ottobre e i primi giorni di dicembre, col mese di novembre caratterizzato dai valori più elevati), mentre nel periodo compreso tra gennaio e aprile la pioggia è distribuita in maniera un po’ più omogenea con valori comparabili, che diminuiscono progressivamente dalla terza decade di aprile, fino a raggiungere un minimo assoluto tra la prima e la terza decade di luglio, tanto che si può parlare di un’aridità di regola prolungata nella primavera e spesso accentuata nei mesi estivi. La temperatura media oscilla intorno a 15,2°C e le precipitazioni intorno a 690 mm/anno; l’indice di Huglin si attesta tra 2.300 e 2.500 unità. Le estati sono per lo più siccitose e le condizioni di aridità sono accentuate dai venti che soffiano con frequenza soprattutto dal terzo al quarto quadrante; in particolare, nella primavera soffiano venti di Scirocco e di Libeccio (nelle aree più prossime al mare piuttosto carichi di salsedine), mentre nell’estate soffia il Maestrale che, sebbene provenga dal mare, è asciutto, regolando di fatto la temperatura.

A.2. Fattori umani rilevanti per il legame.
I fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito a ottenere i vini di «Capalbio», sono di fondamentale rilievo. In quest’area, infatti, esistono testimonianze della coltivazione della vite che risalgono al periodo etrusco, greco e romano – l’antica città etrusca di Cosa, nella parte meridionale della zona di produzione, le l’area di Poggio Buco, più a nord, sono solo alcuni esempi di insediamenti più o meno rilevanti – come testimoniano alcuni reperti; in particolare, presso Marsiliana lungo il corso del fiume Albegna, è stato rinvenuto un numero consistente di vasellame e pithoi (recipienti particolari per la raccolta del vino proveniente dalla pigiatura delle uve e dai torchi), probabilmente poiché il luogo corrispondeva a un vero e proprio centro di raccolta per i vini che provenivano dalle aree più interne (colline di Manciano, Capalbio, Magliano e Scansano), trasportati lungo il corso del fiume. La dominazione romana accentuò la tendenza al miglioramento delle tecniche di vinificazione, che rimasero insuperate fino al medioevo; in questo periodo storico, la vite acquistò particolare importanza come pianta colonizzatrice, tanto che governanti e feudatari riconobbero la necessità di concedere terre adatte per questa coltura, che ebbe particolare protezione con apposite norme statutarie. Negli Statuti della Comunità del Cotone le norme stabilite per la protezione delle viti e dell’uva erano molto severe, tanto che stabilivano perfino una multa di 10 soldi per ciascuna bestia grossa entrata a far danno in “vigne o chiuse di olivi da calende di marzo fino a Ognissanti”. La tradizione vitivinicola della Maremma meridionale ha continuato a trasmettersi nei secoli, passando anche attraverso le vicissitudini legate alla famiglia Aldobrandeschi (nel 1269 il Castello di Ansedonia venne inserito tra i domini che questa famiglia aveva ottenuto in enfiteusi dall’Abbazia delle Tre Fontane di Roma) e, più tardi, a inizio 1300, dopo che Papa Bonifacio VII ebbe revocato il possesso della città di Ansedonia e del porto di Feniglia per concederli a suo nipote, attraverso le occupazioni dell’esercito orvietano e del comune di Perugia, fino alle vicende legate allo Stato dei Presidi. Studiosi di ogni tempo riconobbero i pregi delle uve di questo territorio e l’eccellenza dei vini prodotti. L’enotecnico Luigi Vivarelli, in una memoria pubblicata nel 1906 su “La vite e il vino nel mandamento di Orbetello” riferiva l’esistenza di tronchi di vite di dimensioni eccezionali, il che portava a pensare a un’attività viticola fortemente tradizionale. Il dott. Alfonso Ademollo, in una relazione all’inchiesta parlamentare Jacini, tenendo conto della vocazione viticola della Maremma, nel 1884 affermava che tutte le varietà “vegetano bene nel nostro suolo ed a noi non mancano le uve da spremere e da mangiare, queste ultime a dovizia fornite dal Monte Argentario e dall’Isola del Giglio”. L’Ademollo, nel fornire interessanti informazioni sulla situazione viticola della provincia, così scriveva: “La vite ha sempre allignato, fino dalle epoche più remote, nella provincia di Grosseto. Le varietà di vite da noi conosciute e coltivate sono molte, poichè si può asserire che tutte le varietà di sì prezioso sarmento, anche le esotiche, vegetano bene nel nostro suolo…… Le vigne pure da qualche tempo si sono estese ed hanno migliorato nel proprio prodotto, ma tuttavia anche per questo lato la provincia di Grosseto sarebbe capace di più, poichè la vite cresce benissimo e porge preziosi e squisiti grappoli in ogni parte della provincia, perchè non abbiamo veramente nè caldi nè freddi eccessivi,….. perchè dovunque trovasi terreni leggeri, permeabili, aridi nelle parti elevate, dovute a sabbie, a rocce decomposte, a detriti vulcanici e sassaie”. Da ciò la categorica affermazione: “La provincia di Grosseto, per cinque sesti ha terreno adatto alla viticoltura”. Parlando dei pregi e dei difetti del vino prodotto nella zona lo stesso Ademollo così si esprimeva: “II vino, questo benefico liquido che ha tanta importanza nella pubblica e privata economia, come nella pubblica e privata salute, viene prodotto dai nostri viticoltori con sempre crescente progresso e accuratezza in ogni parte della provincia di Grosseto, sia nella zona piana, che in quella montuosa, e per la bontà e quantità in alcuni Comuni è di una rendita importante ai proprietari……
Vini forti e generosi poi si incontrano nei comuni più marittimi i quali sono quelli di Orbetello, Monte Argentario e Giglio”. Nel periodo storico successivo, caratterizzato da due eventi bellici e da un ventennio di dittatura politica, la situazione viticola della Maremma meridionale ha seguito le sorti dell’agricoltura in genere, il cui obiettivo principale era quello di conseguire un’economia di consumo e la piena occupazione della mano d’opera. In tale periodo, la viticoltura non era certamente florida, in quanto legata all’immobilismo, alla polverizzazione delle proprietà diretto coltivatrici e alle diffuse forme di conduzione mezzadrile, sfavorevoli all’espansione della specializzazione viticola, tanto che nella prima metà del Novecento la superficie vitata non subisce in questa zona profonde modificazioni. Nei decenni successivi, invece, si moltiplicano le iniziative di molti proprietari – aiutate e incentivate anche dall’applicazione della riforma fondiaria e dall’opera dei tecnici agricoli – intese a sviluppare una viticoltura più razionale, anche con la diffusione di nuove cultivar nei territori collinari più facili. Ma l’espansione viticola, se non accompagnata dal perfezionamento della tecnica vinicola e quindi della qualità dei vini prodotti, creava notevoli problemi di organizzazione e diffusione dei vini stessi, anche a causa della disponibilità di modeste partite, dalle caratteristiche poco omogenee anche se pregiate. Un contributo decisivo alla risoluzione di questi problemi è stato dato dalla realizzazione della Cantina Sociale di Capalbio, con lo scopo di raccogliere e trasformare la produzione viticola del comprensorio circostante e che rappresenta una circostanza importante per la nascita dell’industria enologica, alfine di presentare sul mercato vini uniformi, di tipo costante, migliorati nella qualità e standardizzati nella presentazione. Più tardi, anche alcune pubblicazioni scientifiche del settore, occupandosi dei vini ottenuti su questo territorio, apportarono un contributo importante alla loro valorizzazione; “Vini tipici e pregiati d’Italia” di R. Capone, edito nel 1963, illustra, tra l’altro, le caratteristiche dei vini della zona di Capalbio, soffermandosi non solo sui rinomati vini bianchi a base di Ansonica e Vermentino, ma illustrando anche le caratteristiche dei rossi, vini da sempre prodotti in questa zona utilizzando, a partire dagli anni ’80, l’indicazione geografica transitoria autorizzata dal Ministero dell’Agricoltura, ovvero “Capalbio” con le indicazioni aggiuntive Bianco e Rosso. Furono questi i presupposti che portarono alla consapevolezza che il territorio della Maremma meridionale poteva aspirare al riconoscimento della denominazione di origine controllata per i vini prodotti nella zona, che verrà attribuito col decreto ministeriale 21 maggio 1999 per i vini «Capalbio» ottenuti in tipologie bianche, rosse e nel tipo rosato incentrate, per lo più, sulle uve dei vitigni Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Trebbiano toscano e Vermentino.

L’incidenza dei fattori umani, nel corso della storia, è riferita, in particolare, alla puntuale definizione dei seguenti aspetti tecnico-produttivi, che costituiscono parte integrante del vigente disciplinare di produzione:
base ampelografica dei vigneti:
i vitigni idonei alla produzione del vino in questione sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area geografica considerata, e cioè, in primis, i vitigni autoctoni Sangiovese, Trebbiano toscano e Vermentino, e l’internazionale Cabernet Sauvignon, oltre alle varietà che concorrono eventualmente nella percentuale riservata ai vitigni complementari;
le forme di allevamento, i sesti d’impianto e i sistemi di potatura che, anche per i nuovi impianti, sono quelli tradizionali della zona, e cioè il Cordone speronato orizzontale e la spalliera semplice, tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti; ciò sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali con un aumento della meccanizzazione, sia per gestire la razionale gestione della chioma, consentendo di ottenere un’adeguata superficie fogliare ben esposta e, al contempo, di perseguire un contenimento delle rese di produzione di vino entro i limiti fissati dal disciplinare, rapportate a una densità minima di 3300 piante per ettaro, il che consente di ottenere una buona competizione fra le piante (80,5 hl/ha per il Bianco e il Vermentino, che scende a 77 hl/ha per il Rosso “base” e il Rosato, per il Rosso con menzione Riserva e per le tipologie varietali Sangiovese e Cabernet Sauvignon, e a 40,25 hl/ha per il Vin Santo);
- le pratiche relative alla elaborazione dei vini, che sono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione in bianco e in rosso dei vini tranquilli, adeguatamente differenziate per le tipologie di base e la tipologie Rosso Riserva, riferita, quest’ultima, a un vino rosso maggiormente strutturato ottenuto da uve con un titolo alcolometrico volumico totale minimo più elevato di un grado rispetto al tipo “base” e caratterizzato da un’elaborazione che comporta determinati periodi di invecchiamento e affinamento in bottiglia e/o in botte obbligatori; di tradizione consolidata è anche la produzione di vini rosati ottenuti con un limitato contatto del mosto con le parti solide, proveniente dalla pigiatura di uve per lo più della varietà Sangiovese, e la produzione di vini ottenuti da uve appassite, prodotti con la tradizionale tecnica del “vinsanto” utilizzando prevalentemente uve a bacca bianca (Trebbiano toscano per almeno il 50%) sottoposte a un’accurata cernita e fatte appassire in locali idonei, per essere successivamente conservate e invecchiate in tradizionali caratelli per un periodo adeguato.


Informazioni sul prodotto:
La DOC «Capalbio» è riferita alla tipologia Rosso “di base”, al tipo Rosato, al Rosso con menzione “Riserva”, alle tipologie varietali Vermentino, Cabernet Sauvignon e Sangiovese, e alla tipologia Vin Santo, le quali, dal punto di vista analitico e organolettico, presentano caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6 del disciplinare, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico. In particolare, tutti i vini presentano un discreto tenore di acidità, almeno pari a 5 g/l. I vini rossi presentano un colore rosso rubino di buona intensità con riflessi violacei nei vini giovani, che sfuma al granato nei vini più maturi, comunque influenzato, nella tonalità, dalla percentuale di Sangiovese presente: il Sangiovese, infatti, rispetto ad altri vitigni come il Cabernet Sauvignon, conta su di una quantità di antociani totali inferiore, a vantaggio, però, di una notevole ricchezza in tannini proantocianidici e catechine. Per questo motivo, nella tipologia “di base”, è possibile riscontrare una maggiore complessità aromatica con sfumature fruttate e speziate più evidenti e, al contempo, un’attenuazione della sensazione tannica del vitigno base – soprattutto nei vini più giovani – proprio in funzione della diversa presenza di Sangiovese (minimo 50%) e di quella di altre varietà a bacca rossa (fino al 50%), il che conferisce, ai vini, un gusto più rotondo e pieno; l’aumento della percentuale di Cabernet Sauvignon presente, infatti, porta a ottenere vini di un colore rosso più intenso, talvolta con riflessi che sfumano al violaceo, con profumi intensi di frutta matura, confettura e spezie, e note vegetali più o meno evidenti, mentre al palato risultano morbidi e vellutati, corposi e sapidi.

Nella tipologia Rosso che si fregia della menzione “Riserva” il colore tende al rosso rubino intenso con riflessi violacei più o meno frequenti, che si tramuta in granato con l’invecchiamento, mentre l’intensità del profilo aromatico aumenta e aumenta la sua complessità, ampiezza ed eleganza, con sentori di piccoli frutti accompagnati da evidenti note speziate, e al palato si amplia la sensazione di lunghezza, di corpo e di volume; queste caratteristiche sono direttamente influenzate, infatti, dall’affinamento e dall’invecchiamento dei vini, ed è per questi motivi che il disciplinare stabilisce un invecchiamento minimo di sei mesi in botti di legno con immissione al consumo successiva al 1° giugno del terzo anno successivo a quello di raccolta delle uve. Il vino della versione Rosato, prodotto con rilevante presenza di uve Sangiovese, si presenta con un colore rosa di buona intensità, profumi intensi, fruttati, mentre al palato sono freschi, sapidi, asciutti. I vini bianchi “tranquilli” presentano un colore giallo paglierino tenue, un profumo tendenzialmente fresco, fruttato e delicato, non molto intenso anche in funzione della percentuale di Trebbiano toscano presente (minimo 50%) e delle altre varietà a bacca bianca eventualmente utilizzate, mentre al gusto si presentano asciutti, di media corposità; la presenza di Vermentino (minimo 85%), porta a ottenere vini di un colore giallo paglierino più o meno intenso, a volte con riflessi verdognoli, con profumi intensi e gradevoli che richiamano frutti a polpa bianca e fiori, mentre al palato sono più asciutti e sapidi. La tipologia Vin Santo si presenta con un colore dal giallo dorato fino all’ambrato intenso, un profumo ricco e complesso, etereo, intenso, con evidenti note di frutta matura, di uva passa e candita, mentre al gusto denota sensazioni vellutate, rotonde, con una notevole ampiezza, lunghezza e persistenza.

Legame causale:
L’orografia collinare e pedecollinare della zona di produzione, nella parte meridionale della provincia di Grosseto, in parte del territorio comunale di Capalbio, Manciano, Magliano e Orbetello, con una quota media intorno a 110 metri s.l.m., una pendenza media dell’8%, una esposizione a sud-est, per il particolare beneficio delle sue colline aperte alle brezze marine che assicurano una buona ventilazione durante tutto l’anno, concorrono a determinare un ambiente areato, luminoso e con un suolo naturalmente sgrondante dalle acque reflue, particolarmente vocato per la coltivazione della vite. Anche la tessitura e la struttura chimico-fisica dei terreni interagiscono in modo determinante con la coltura della vite, contribuendo all’ottenimento delle peculiari caratteristiche fisico-chimiche e organolettiche dei vini «Capalbio». In particolare, i terreni, caratterizzati da formazioni prevalentemente calcaree, anidritiche e gessose (depositi alluvionali a granulometria mista e sedimenti marini sabbiosi a sud di Capalbio), presentano un’elevata profondità utile per lo sviluppo radicale, una buona capacità di drenaggio e una moderata/bassa capacità di acqua disponibile, condizioni tali da consentire un buon sviluppo vegeto-produttivo delle coltivazioni arboree. Sono terreni per lo più franchi, sciolti o a granulometria mista, più o meno ricchi di scheletro, sub-acidi o neutri, tendenzialmente aridi, con discreta dotazione in sostanza organica e microelementi assimilabili, che presentano, perciò, una spiccata attitudine alla coltivazione della vite e, per tali ragioni, risultano pienamente idonei a una vitivinicoltura di qualità, in particolare se coltivati con l’ausilio di pratiche agronomiche e gestionali dei suoli corrette (quali potatura verde e alta densità di impianto) e basse rese produttive. Anche il clima della zona di produzione, caratterizzato da una piovosità piuttosto bassa (media intorno a 690 mm/anno), con scarse piogge estive (intorno ai 65-70 mm) e una certa aridità nei mesi di luglio e agosto – tanto da far riscontrare lievi stress idrici nelle fasi che precedono la maturazione dell’uva –, da ottimi valori dell’indice bioclimatico di Huglin (tra 2300 e 2500°C-giorno), da una buona temperatura media annuale (15,2°C), unita a una ventilazione sempre presente anche nel periodo primaverile-estivo grazie alle brezze di Maestrale che soffiano nelle ore più calde della giornata, contribuendo a regolare le temperature e a creare un ambiente sfavorevole alle malattie parassitarie, il tutto unito a una temperatura piuttosto elevata, con ottima insolazione nei mesi di settembre-ottobre e buone escursioni termiche tra giorno e notte, consente alla vite di ottenere un giusto equilibrio vegetativo, permettendo una lenta, graduale e ottimale maturazione fisiologica delle uve, contribuendo in maniera significativa alle particolari caratteristiche organolettiche dei vini «Capalbio». La millenaria storia vitivinicola riferita al territorio della Maremma meridionale, dall’epoca etrusca a quella romana, al medioevo, fino ai giorni nostri, attestata da numerosi documenti, citazioni e testimonianze storiche, è la prova fondamentale della stretta connessione e interazione tra i fattori umani e la qualità e le caratteristiche peculiari dei vini «Capalbio». È la testimonianza, perciò, di come l’intervento dell’uomo in questo particolare territorio abbia tramandato, nel corso dei secoli, le tecniche tradizionali di coltivazione della vite ma anche le rituali prassi enologiche, le quali, tuttavia, in epoca moderna, sono state migliorate e affinate, grazie all’indiscutibile progresso scientifico e tecnologico, fino a ottenere i vini «Capalbio», le cui caratteristiche peculiari sono specificamente descritte all’articolo 6 del disciplinare di produzione. In particolare, la presenza della viticoltura nel territorio della Maremma meridionale è attestata fin dall’epoca etrusca (il vasellame e i pithoi reperiti nelle aree archeologiche presenti sul territorio ne sono una prova), ma le testimonianze continuano in epoca romana fino al medioevo (gli Statuti della Comunità del Cotone citano esplicitamente regole per la coltivazione della vite) nel corso del quale la vite acquistò particolare importanza come pianta colonizzatrice, tanto che governanti e feudatari riconobbero la necessità di concedere terre adatte per questa coltura e di stabilirne la protezione con apposite norme statutarie.

E furono molti gli studiosi di epoche successive che riconobbero i pregi delle uve di questo territorio e l’eccellenza dei vini prodotti, come il Bacci che, alla fine del 1500, così descriverà queste campagne “…situate nel cuore dell’Etruria, godono di molti pregi, sono esposte da una parte al vento che spira da settentrione dalle falde del monte Amiata e dall’altra, estendendosi verso mezzogiorno, godono anche di quello australe che dona loro calore”…Quale migliore incipit per identificare un territorio viticolo; e infatti, la zona era ricca “…di ottimi vini, soprattutto rossi, sinceri, e chiarificati con null’altro che la semplice fermentazione dei tini”.

Quasi quattro secoli più tardi, l’enotecnico Luigi Vivarelli (1906) parla di tronchi di vite di dimensioni rilevanti, a conferma che la viticoltura aveva tradizioni centenarie già a quel tempo. Lo stesso Vivarelli parla diffusamente di sistemi di allevamento della vite, affermando che, nella Maremma meridionale, è già ampiamente diffusa la vigna specializzata allevata a cordone speronato. Tra le testimonianze più significative ed esaurienti, quelle del dott. Alfonso Ademollo, riconducibili a una relazione all’inchiesta parlamentare Jacini (1884), si soffermano lungamente sulla vocazione viticola della Maremma; nella stessa relazione, che fotografa perfettamente la situazione della viticoltura maremmana alla fine del 1800, egli afferma che le varietà coltivate sono numerose, alcune “internazionali” perfettamente adattate al territorio, il quale viene ritenuto altamente vocato alla coltura della vite (per cinque sesti della superficie), mancando periodi di caldo o di freddo eccessivi e grazie anche ai terreni leggeri e permeabili, dovuti a sabbie, rocce decomposte, detriti vulcanici e ciottolame. Inoltre, relativamente ai pregi e difetti del vino prodotto sul territorio maremmano, egli si esprime in modo molto positivo, tanto da affermare che il vino è prodotto in ogni parte della provincia, sia in aree pianeggianti che montuose, citando i vini “forti e generosi” che si ritrovano nelle aree più marittime “quali sono quelli di Orbetello, Monte Argentario e Giglio”. In tutti questi secoli, lo sviluppo dell’agricoltura di questo lembo di Maremma è sempre stato accompagnato da un’affermazione della viticoltura e, di pari passo, da una forte valenza della tradizione vinicola, spesso perpetrata dai monaci benedettini nei periodi più bui del basso medioevo.

All’inizio del XX° secolo, la viticoltura in provincia di Grosseto, come in altre aree del Paese, conobbe un periodo di crisi, con una polverizzazione delle proprietà diretto coltivatrici e diffuse forme di conduzione mezzadrile ma, con i decenni successivi, si moltiplicarono le iniziative di molti proprietari intese a sviluppare una viticoltura più moderna e razionale, anche con l’inserimento di nuove cultivar. Col trascorrere degli anni, la nascita della Cantina Sociale di Capalbio e il contributo proveniente dall’attività di sperimentazione e di studio condotta sul territorio dalle istituzioni pubbliche e dalle aziende private, si crearono i presupposti per richiedere il riconoscimento della denominazione di origine controllata per i vini “Capalbio” col decreto ministeriale del 21 maggio 1999 (preceduto, tuttavia, nel corso degli anni ’80, dall’utilizzo dell’indicazione geografica transitoria “Capalbio” autorizzata dal Ministero dell’Agricoltura), valorizzando, così, i vini bianchi, rossi e rosati ottenuti in questo territorio, incentrati sui vitigni tradizionali Sangiovese, Vermentino e Trebbiano toscano, e sulla varietà internazionale Cabernet Sauvignon.

Vitigni principali

Quadro di riferimento giuridico: Nella legislazione nazionale
Tipo di condizione supplementare: Disposizioni supplementari in materia di etichettatura
Descrizione della condizione:
«Capalbio» rosso, rosato e rosso riserva:
Sangiovese minimo 50%. Possono concorrere alla produzione di detti vini, fino a un massimo del 50%, le uve a bacca rossa provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la regione Toscana, con l’esclusione dell’Aleatico.
«Capalbio» bianco e Vin Santo:
Trebbiano toscano minimo 50%. Possono concorrere alla produzione di detti vini, fino a un massimo del 50%, le uve a bacca bianca provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la regione Toscana, con l’esclusione del Moscato bianco.
«Capalbio» Vermentino:
il vino deve essere ottenuto da uve prodotte dai vigneti composti dal vitigno Vermentino per almeno l’85%. Possono concorrere alla produzione di detto vino, fino a un massimo del 15%, le uve a bacca bianca provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la regione Toscana, con l’esclusione del Moscato bianco.
«Capalbio» Sangiovese:
il vino deve essere ottenuto da uve prodotte dai vigneti composti dal vitigno Sangiovese per almeno l’85%. Possono concorrere alla produzione di detto vino, fino a un massimo del 15%, le uve a bacca rossa provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la regione Toscana, con l’esclusione dell’Aleatico.
«Capalbio» Cabernet Sauvignon:
il vino deve essere ottenuto da uve prodotte dai vigneti composti dal vitigno Cabernet Sauvignon per almeno l’85%. Possono concorrere alla produzione di detto vino, fino a un massimo del 15%, le uve a bacca rossa provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la regione Toscana, con l’esclusione dell’Aleatico.

Nome e titolo del richiedente: CONFAGRICOLTURA DI GROSSETO
Status giuridico, dimensioni e composizione (per le persone giuridiche): Associazione interprofessionale di produttori
Nazionalità: Italia
Indirizzo: 108 DE BARBERI
58100 Grosseto
Italia
Telefono: 0039 – 0564.438623
Fax: 0039 – 0564.21435
e-mail: tonini@confagricolturagrosseto.it

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