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Bianco di Pitigliano Doc

Pubblicato da disciplinare

ZONA DELIMITATA
Intero territorio dei comuni di Pitigliano e Sorano; parte del territorio comunale di Scansano e di Manciano, in provincia di Grosseto

Inventario delle principali varietà di uve da vino

PINOT BIANCO B.
MALVASIA BIANCA LUNGA B.
GRECHETTO B.
Chardonnay
VERDELLO
TREBBIANO TOSCANO
SAUVIGNON B.
RIESLING ITALICO B

Varietà di uve da vino elencate dall'OIV

Greco B
Viogner B
Ansonica B

Altre varietà

Orpicchio B.
Petit manseng B

LEGAME CON LA ZONA GEOGRAFICA DOC "Bianco di Pitigliano"

Informazioni sulla zona geografica:
A.1. Fattori naturali rilevanti per il legame.
La zona geografica delimitata ricade nella parte meridionale della regione Toscana e, in particolare, nel lembo sud-orientale della provincia di Grosseto, in un territorio a giacitura collinare e pedecollinare che comprende l’intero territorio comunale di Pitigliano e di Sorano e parte di quello dei comuni di Manciano e Scansano. I terreni dell’area, relativamente all’origine geologica, sono caratterizzati da superfici strutturali su formazioni costituite prevalentemente da rocce effusive e vulcanoclastiche mentre, a ovest del fiume Fiora, prevalgono forme di aggradazione su formazioni prevalentemente marnose, marnoso-pelitiche e pelitiche.

Le formazioni quaternarie antiche e recenti, con conglomerati di sabbia, detriti fluviali, ciottoli con argille e sabbia, affiorano dovunque nella parte centrale della zona, lungo i corsi d’acqua e nella fascia collinare a ovest di Manciano e verso Scansano. L’area è caratterizzata da rilievi da bassa a medio-alta collina, ma al centro del comprensorio delimitato, nei comuni di Pitigliano e Sorano, sono presenti vaste zone di altopiano ove la presenza di rocce tufacee, originate da eruzioni succedutesi nei secoli, è predominante, tanto da influenzare l’aspetto stesso del paesaggio.

La quota media è di 310 metri s.l.m., mentre la pendenza oscilla intorno al 5%; l’esposizione media è a sud-est. Il clima dell’area è di tipo mediterraneo, con temperature miti e precipitazioni disordinate, talvolta anche di elevata intensità, concentrate soprattutto nei mesi autunnali-invernali (massimo della piovosità localizzato tra la fine di ottobre e la prima decade di dicembre, col mese di novembre caratterizzato dai valori più elevati), mentre nel periodo compreso tra gennaio e maggio la pioggia è distribuita in maniera un po’ più omogenea con valori comparabili, che diminuiscono progressivamente dalla seconda decade di maggio, fino a raggiungere un minimo assoluto tra la prima e la terza decade di luglio, tanto che si può parlare di un’aridità di regola prolungata nella primavera e spesso accentuata nei mesi estivi.

Possono essere considerate due prevalenti condizioni climatiche, e cioè quella dell’area di Pitigliano-Sorano, con temperatura media intorno a 14°C e precipitazioni intorno a 920 mm/anno e quella dell’area di Manciano, situata più a ovest verso il mare, con temperatura media di 14-14,5°C e precipitazioni medie di 750 mm/anno. Considerata la presenza, nella zona delimitata, di una parte consistente del comune di Scansano, le cui condizioni climatiche sono più affini a quelle dell’entroterra mancianese rispetto all’area pitiglianese, può essere quindi considerato un valore medio di precipitazioni annue intorno agli 780-840 mm, con un minimo di 22 mm nel mese di luglio (dato medio) e un massimo di 124 mm nel mese di novembre (dato medio), e una temperatura media annua di 14,5-15°C; l’indice di Huglin si attesta tra 2.100 e 2.500 unità, a seconda dell’area considerata.

Le estati sono per lo più siccitose e le condizioni di aridità sono accentuate dai venti che soffiano con frequenza soprattutto dal terzo al quarto quadrante; in particolare, nella primavera soffiano venti di Scirocco e di Libeccio (nelle aree più prossime al mare piuttosto carichi di salsedine), mentre nell’estate soffia il Maestrale che, sebbene provenga dal mare, è asciutto, regolando di fatto la temperatura; in inverno non è raro, invece, che soffi, anche in modo violento, la Tramontana, soprattutto nel comprensorio di Pitigliano e Sorano.

A.2. Fattori umani rilevanti per il legame.
I fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito a ottenere i vini del «Bianco di Pitigliano», sono di fondamentale rilievo. In quest’area, infatti, esistono testimonianze della coltivazione della vite che risalgono al periodo etrusco, greco e romano – l’antica città etrusca di Statonia, nella parte orientale della zona di produzione, le città etrusche di Sovana e di Saturnia, più a ovest, le aree di Poggio Buco, nella parte meridionale, e di Ghiaccio Forte, a ovest di Manciano, sono solo alcuni esempi di insediamenti più o meno rilevanti – come testimoniano alcuni reperti; in particolare, presso Marsiliana lungo il corso del fiume Albegna, è stato rinvenuto un numero consistente di vasellame e pithoi (recipienti particolari per la raccolta del vino proveniente dalla pigiatura delle uve e dai torchi), probabilmente poiché il luogo corrispondeva a un vero e proprio centro di raccolta per i vini che provenivano dalle aree più interne (colline di Manciano, Pitigliano e Scansano), trasportati lungo il corso del fiume; nelle necropoli di Vitozza e Sovana, invece, sono state rinvenute cantine scavate direttamente nel tufo, e un esempio ancor oggi chiaramente visibile lo si ha visitando la fortezza Orsini a Sorano.

La dominazione romana accentuò la tendenza al miglioramento delle tecniche di vinificazione, che rimasero insuperate fino al medioevo; in questo periodo storico, la vite acquistò particolare importanza come pianta colonizzatrice, tanto che governanti e feudatari riconobbero la necessità di concedere terre adatte per questa coltura, che ebbe particolare protezione con apposite norme statutarie. Negli Statuti della Comunità del Cotone le norme stabilite per la protezione delle viti e dell’uva erano molto severe, tanto che prevedevano perfino una multa di 10 soldi per ciascuna bestia grossa entrata a far danno in “vigne o chiuse di olivi da calende di marzo fino a Ognissanti”.

La tradizione vitivinicola del territorio pitiglianese e soranese ha continuato a trasmettersi nei secoli, passando attraverso le vicissitudini della famiglia Aldobrandeschi e, più tardi, con la scissione di questa famiglia nei due rami di Sovana e Santa Fiora, con quelle degli Orsini, fino alla lunga guerra che questi ingaggiarono con Siena conclusasi, nel 1410, con l’annessione definitiva di Sovana ai domini di Siena, e il conseguente spopolamento di Sovana a favore delle vicine Pitigliano e Sorano. Fin da epoche lontane, tutti coloro che sostarono nell’antica cittadina di Pitigliano per traffici e azioni militari, ebbero modo di apprezzare e gustare vini soprattutto bianchi, conservati in vasi vinari nelle profonde e fredde grotte di tufo, per le loro peculiari caratteristiche di vini abboccati, gradevolmente profumati. Studiosi di ogni tempo riconobbero i pregi delle uve di questo territorio e l’eccellenza dei vini prodotti.

Il dott. Villafranchi-Giorgini, nel 1847, in una memoria letta alla Società Agraria Grossetana, affermava che esisteva all’Orto Botanico di Pisa un tronco di vite alto 5 braccia (metri 2,92) e della circonferenza di 4 (metri 2,30) proveniente da Valle Castagneta, cioè nell’area soranese. Il dott. Alfonso Ademollo, in una relazione all’inchiesta parlamentare Jacini, tenendo conto della vocazione viticola della Maremma, nel 1884 affermava che tutte le varietà “vegetano bene nel nostro suolo ed a noi non mancano le uve da spremere e da mangiare, queste ultime a dovizia fornite dal Monte Argentario e dall’Isola del Giglio”. L’Ademollo, nel fornire interessanti informazioni sulla situazione viticola della provincia, così scriveva: “La vite ha sempre allignato, fino dalle epoche più remote, nella provincia di Grosseto. Le varietà di vite da noi conosciute e coltivate sono molte, poichè si può asserire che tutte le varietà di sì prezioso sarmento, anche le esotiche, vegetano bene nel nostro suolo…… Le vigne pure da qualche tempo si sono estese ed hanno migliorato nel proprio prodotto, ma tuttavia anche per questo lato la provincia di Grosseto sarebbe capace di più, poichè la vite cresce benissimo e porge preziosi e squisiti grappoli in ogni parte della provincia, perchè non abbiamo veramente nè caldi nè freddi eccessivi,….. perchè dovunque trovasi terreni leggeri, permeabili, aridi nelle parti elevate, dovute a sabbie, a rocce decomposte, a detriti vulcanici e sassaie”.

Da ciò la categorica affermazione: “La provincia di Grosseto, per cinque sesti ha terreno adatto alla viticoltura”. Parlando dei pregi e dei difetti del vino prodotto nella zona lo stesso Ademollo così si esprimeva: “II vino, questo benefico liquido che ha tanta importanza nella pubblica e privata economia, come nella pubblica e privata salute, viene prodotto dai nostri viticoltori con sempre crescente progresso e accuratezza in ogni parte della provincia di Grosseto, sia nella zona piana, che in quella montuosa, e per la bontà e quantità in alcuni Comuni è di una rendita importante ai proprietari……
Attualmente la maggior quantità di vino viene data dai comuni di Pitigliano, Sorano, Massa Marittima e Roccastrada i quali sono pure dotati di buone Cantine per conservarlo specialmente i primi due, fabbricati come sono nella lavorabile tufa vulcanica”. Nel periodo storico successivo, caratterizzato da due eventi bellici e da un ventennio di dittatura politica, la situazione viticola della zona pitiglianese e soranese ha seguito le sorti dell’agricoltura in genere, il cui obiettivo principale era quello di conseguire un’economia di consumo e la piena occupazione della mano d’opera. In tale periodo, la viticoltura non era certamente florida, in quanto legata all’immobilismo, alla polverizzazione delle proprietà diretto coltivatrici e alle diffuse forme di conduzione mezzadrile, sfavorevoli all’espansione della specializzazione viticola, tanto che nella prima metà del Novecento la superficie vitata non subisce in questa zona profonde modificazioni. Nei decenni successivi, invece, si moltiplicano le iniziative di molti proprietari – aiutate e incentivate anche dall’applicazione della riforma fondiaria e dall’opera dei tecnici agricoli – intese a sviluppare una viticoltura più razionale, anche con la diffusione di nuove cultivar nei territori collinari più facili.

Ma l’espansione viticola, se non accompagnata dal perfezionamento della tecnica vinicola e quindi della qualità dei vini prodotti, creava notevoli problemi di organizzazione e diffusione dei vini stessi, anche a causa della disponibilità di modeste partite, dalle caratteristiche poco omogenee anche se pregiate. Un contributo decisivo alla risoluzione di questi problemi è stato dato dalla realizzazione nel 1954 della Cantina Sociale di Pitigliano, con lo scopo di raccogliere e trasformare la produzione viticola del comprensorio circostante e che rappresenta una circostanza importante per la nascita dell’industria enologica, alfine di presentare sul mercato vini uniformi, di tipo costante, migliorati nella qualità e standardizzati nella presentazione. Più tardi, anche alcune pubblicazioni scientifiche del settore, occupandosi dei vini ottenuti su questo territorio, apportarono un contributo importante alla loro valorizzazione; “Vini tipici e pregiati d’Italia” di R. Capone, edito nel 1963, illustra proprio le caratteristiche dei vini di Pitigliano.

Furono questi i presupposti che portarono alla consapevolezza che il territorio della Maremma sud-orientale poteva aspirare al riconoscimento della denominazione di origine controllata per i vini prodotti nella zona, riconoscimento che verrà attribuito col decreto del presidente della Repubblica del 28 marzo 1966 (il sesto, in ordine cronologico, attribuito in Italia) per il vino «Bianco di Pitigliano» incentrato, per lo più, sulle uve dei vitigni Trebbiano toscano (localmente detto Procanico), Greco, Grechetto, Malvasia bianca lunga e Verdello, al quale si sono aggiunte, quasi 25 anni dopo, le versioni Superiore e Spumante, unitamente all’inserimento di nuove varietà – per lo più internazionali – tra quelle complementari, presenti soprattutto nei nuovi impianti; infine, con la modifica del disciplinare intervenuta a novembre 2011, è stata inserita la tipologia tradizionale Vin Santo, con la contestuale semplificazione della base ampelografica produttiva, basata sempre sul Trebbiano toscano ma con uno spazio più ampio per i vitigni complementari, tra i quali sono stati inseriti Ansonica e Viognier.

L’incidenza dei fattori umani, nel corso della storia, è riferita, in particolare, alla puntuale definizione dei seguenti aspetti tecnico-produttivi, che costituiscono parte integrante del vigente disciplinare di produzione:
base ampelografica dei vigneti: i vitigni idonei alla produzione del vino in questione sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area geografica considerata, e cioè, in primis, i vitigni autoctoni Trebbiano toscano e, in minor parte, Greco, Malvasia bianca lunga, Verdello, Grechetto e Ansonica, e gli internazionali Chardonnay, Sauvignon, Viognier, Pinot bianco e Riesling italico, oltre alle varietà che concorrono eventualmente nella percentuale riservata ai vitigni complementari;
le forme di allevamento, i sesti d’impianto e i sistemi di potatura che, anche per i nuovi impianti, sono quelli tradizionali della zona, e cioè il Cordone speronato orizzontale e il Guyot singolo o a doppia palmetta, tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti; ciò sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali con un aumento della meccanizzazione, sia per gestire la razionale gestione della chioma, consentendo di ottenere un’adeguata superficie fogliare ben esposta e, al contempo, di perseguire un contenimento delle rese di produzione di vino entro i limiti fissati dal disciplinare, rapportate a una densità minima di 3000 piante per ettaro, il che consente di ottenere una buona competizione fra le piante (87,5 hl/ha per il tipo “base” e lo spumante, che scende a 77 per la tipologia Superiore e a 43,75 hl/ha per il Vin Santo); - le pratiche relative alla elaborazione dei vini, che sono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione in bianco dei vini tranquilli, adeguatamente differenziate per la tipologia di base e la tipologia Superiore, riferita a un bianco maggiormente strutturato, ottenuto da uve con un titolo alcolometrico volumico totale minimo più elevato di un grado rispetto al tipo “base”; di tradizione consolidata è anche l’elaborazione del vino spumante, facilitata dalla frequente presenza di cantine naturalmente scavate nel tufo che consentono il mantenimento di temperature ottimali anche per l’elaborazione di questo vino, e la produzione di vini ottenuti con la tradizionale tecnica del “vinsanto”, utilizzando uve sottoposte a un’accurata cernita e fatte appassire in locali idonei, per essere successivamente conservate e invecchiate in tradizionali caratelli per un periodo adeguato.


Informazioni sul prodotto: La DOC «Bianco di Pitigliano» è riferita alla tipologia Bianco “di base”, al tipo Spumante, a quello con menzione “Superiore” e alla tipologia Vin Santo, le quali, dal punto di vista analitico e organolettico, presentano caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6 del disciplinare, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico. In particolare, tutti i vini presentano un modesto tenore di acidità, leggermente più elevato, come logico, nella tipologia Spumante.

I vini bianchi “tranquilli” si presentano generalmente con un colore paglierino con tonalità più o meno intense, talora con riflessi verdolini, un profumo tendenzialmente fine e delicato, talvolta con note fruttate e floreali, la cui ricchezza è in funzione della percentuale delle varietà a bacca bianca complementari eventualmente utilizzate (fino al 60%), in primis Greco, Grechetto, Sauvignon, Viognier e Chardonnay, in rapporto al Trebbiano toscano presente (minimo 40%), mentre al gusto si presentano asciutti, freschi, di media corposità, morbidi, con un fondo leggermente amarognolo; nella tipologia che si fregia della qualifica “Superiore” il colore tende al giallo paglierino, mentre l’intensità del profilo aromatico aumenta e aumenta la sua complessità ed eleganza, e al palato si amplia la sensazione di lunghezza e di corpo; queste caratteristiche sono direttamente influenzate, infatti, dalla qualità delle uve, ed è per questi motivi che il disciplinare stabilisce una resa inferiore e una gradazione minima naturale più elevata rispetto al tipo “base”.

Il vino Spumante si presenta con un colore paglierino con riflessi verdolini, profumo delicato, con sentore di crosta di pane soprattutto nelle versioni con rifermentazione in bottiglia, mentre al palato è acidulo, fresco, con fondo leggermente amarognolo, più o meno morbido e rotondo a seconda delle versioni prodotte, da dosaggio zero (decisamente asciutta) a extra-dry, più morbida e vellutata. La tipologia Vin Santo si presenta con un colore dal paglierino, all’ambrato fino al bruno, un profumo ricco e complesso, etereo, intenso, con evidenti note di frutta matura, di uva passa e candita, mentre al gusto denota sensazioni vellutate, rotonde, con una notevole ampiezza, lunghezza e persistenza.


Legame causale: L’orografia collinare e pedecollinare della zona di produzione, nel lembo sudorientale della provincia di Grosseto, nell’intero territorio comunale di Pitigliano e di Sorano e in parte di quello di Manciano e Scansano, con una quota media intorno a 310 metri s.l.m., una pendenza media del 5%, una esposizione che da nord-est degrada verso sud-ovest (media a sud-est), per il particolare beneficio delle sue colline protette dai venti freddi del nord e aperte alle brezze marine ma con una buona ventilazione durante tutto l’anno, concorrono a determinare un ambiente areato, luminoso e con un suolo naturalmente sgrondante dalle acque reflue, particolarmente vocato per la coltivazione della vite.

Anche la tessitura e la struttura chimico-fisica dei terreni interagiscono in modo determinante con la coltura della vite, contribuendo all’ottenimento delle peculiari caratteristiche fisico-chimiche e organolettiche dei vini «Bianco di Pitigliano». In particolare, i terreni, caratterizzati da formazioni costituite prevalentemente da rocce effusive e vulcanoclastiche (marnose, marnoso-pelitiche e pelitiche a ovest del fiume Fiora, conglomerati di sabbia, detriti fluviali, ciottoli con argille e sabbia nella fascia collinare a ovest di Manciano e verso Scansano), presentano un’elevata profondità utile per lo sviluppo radicale, una buona capacità di drenaggio e una moderata capacità di acqua disponibile, condizioni tali da consentire un buon sviluppo vegeto-produttivo delle coltivazioni arboree. Sono terreni per lo più franchi, tufacei, più o meno ricchi di scheletro, sub-acidi o neutri, privi di carbonati, tendenzialmente aridi, ricchi di potassio e poveri di fosforo assimilabile, con discreta dotazione di sostanza organica, che presentano, perciò, una spiccata attitudine alla coltivazione della vite e, per tali ragioni, risultano pienamente idonei a una vitivinicoltura di qualità, in particolare se coltivati con l’ausilio di pratiche agronomiche e gestionali dei suoli corrette (quali potatura verde e alta densità di impianto) e basse rese produttive.

Anche il clima della zona di produzione, caratterizzato da una buona piovosità (media intorno ai 780-840 mm/anno), con scarse piogge estive (intorno ai 90-100 mm) e una certa aridità nei mesi di luglio e agosto – tanto da far riscontrare lievi stress idrici nelle fasi che precedono la maturazione dell’uva –, da ottimi valori dell’indice bioclimatico di Huglin (tra 2100 e 2500°C-giorno), da una buona temperatura media annuale (14,5-15°C), unita a una ventilazione sempre presente anche nel periodo primaverile-estivo grazie alle brezze di Maestrale che soffiano nelle ore più calde della giornata, contribuendo a regolare le temperature e a creare un ambiente sfavorevole alle malattie parassitarie, il tutto unito a una temperatura piuttosto elevata, con ottima insolazione nei mesi di settembre-ottobre e buone escursioni termiche tra giorno e notte, consente alla vite di ottenere un giusto equilibrio vegetativo, permettendo una lenta, graduale e ottimale maturazione fisiologica delle uve, contribuendo in maniera significativa alle particolari caratteristiche organolettiche dei vini «Bianco di Pitigliano».

La millenaria storia vitivinicola riferita al territorio della Maremma sud-orientale, dall’epoca etrusca a quella romana, al medioevo, fino ai giorni nostri, attestata da numerosi documenti, citazioni e testimonianze storiche, è la prova fondamentale della stretta connessione e interazione tra i fattori umani e la qualità e le caratteristiche peculiari dei vini «Bianco di Pitigliano». È la testimonianza, perciò, di come l’intervento dell’uomo in questo particolare territorio abbia tramandato, nel corso dei secoli, le tecniche tradizionali di coltivazione della vite ma anche le rituali prassi enologiche, le quali, tuttavia, in epoca moderna, sono state migliorate e affinate, grazie all’indiscutibile progresso scientifico e tecnologico, fino ad ottenere i vini «Bianco di Pitigliano», le cui caratteristiche peculiari sono specificamente descritte all’articolo 6 del disciplinare di produzione.

In particolare, questa parte di territorio della Maremma grossetana era noto come la “Civiltà del Tufo”, caratterizzata da antichi insediamenti di origine etrusca: parlare di presupposti viticoli etruschi in questa zona appare, perciò, ovvio, tali e tante sono le testimonianze (vasellame e pithoi reperiti in molte delle aree archeologiche presenti sul territorio, e le stesse vecchie cantine in gallerie scavate nel tufo anche all’interno della città di Pitigliano, ne sono una prova), che continuano in epoca romana fino al medioevo, nel corso del quale la vite acquistò particolare importanza come pianta colonizzatrice, tanto che governanti e feudatari riconobbero la necessità di concedere terre adatte per questa coltura e di stabilirne la protezione con apposite norme statutarie. La vocazione vitivinicola, però, appare più tardi, con gli Aldobrandeschi nel primo medioevo; era questa una famiglia di origine certa longobarda che impostò la propria contea attorno al Castello di Santa Fiora e dominò queste contrade fino al 1439, quando la Contea passò agli Sforza.

Furono numerosi gli studiosi di epoche successive che riconobbero i pregi delle uve di questo territorio e l’eccellenza dei vini prodotti, e non mancarono le testimonianze di chi, attraversando il territorio pitiglianese, rimase colpito dai vini qui ottenuti, soprattutto bianchi, conservati in vasi vinari nelle profonde e fredde grotte di tufo. Alla fine del 1500, Bacci, descrivendo queste campagne “…situate nel cuore dell’Etruria” segnala, oltre ai vini rossi prodotti nel territorio scansanese, anche i bianchi, mescolati con dolci moscatelli,com’era di moda all’epoca. Tre secoli più tardi, il dott. Villafranchi-Giorgini (1847) cita un tronco di vite di dimensioni eccezionali proveniente da Valle Castagneta, nella zona di Sorano, a conferma che la viticoltura aveva tradizioni centenarie già a quel tempo. Giacomo Barabino (1884) si sofferma sulla eccellente qualità dei vini prodotti nelle zone di Magliano, Pereta, Scansano, Manciano, Pitigliano e Sorano, già a quel tempo tra le più significative della provincia.

Tra le testimonianze più significative ed esaurienti, quelle del dott. Alfonso Ademollo, riconducibili a una relazione all’inchiesta parlamentare Jacini (1884), si soffermano lungamente sulla vocazione viticola della Maremma esprimendosi in modo molto positivo, tanto da affermare che il vino è prodotto in ogni parte della provincia, sia in aree pianeggianti che montuose, citando come zone di maggiore produzione i territori dei comuni di Massa Marittima, Roccastrada, Pitigliano e Sorano, gli ultimi due dotati anche di buone cantine per la conservazione. In tutti questi secoli, lo sviluppo dell’agricoltura di questo lembo di Maremma è sempre stato accompagnato da un’affermazione della viticoltura e, di pari passo, da una forte valenza della tradizione vinicola, spesso perpetrata dai monaci benedettini nei periodi più bui del basso medioevo, e oggi ancora riscontrabile percorrendo il territorio, dove non di rado è possibile trovare vecchie cantine scavate direttamente nel tufo già al tempo degli etruschi e dei romani e, in parte, ancora oggi utilizzate, come accade a Pitigliano e Sorano.

Tra gli aspetti più particolari che legano i rinomati vini bianchi ottenuti in queste terre con la comunità pitiglianese, deve essere segnalata la produzione, da tantissimi anni, di un vino Kasher destinato al consumo delle comunità ebraiche italiane ed estere; si tratta proprio di un Bianco di Pitigliano preparato secondo le regole della religione ebraica, che proprio a Pitigliano può vantare una presenza millenaria, come conferma il quartiere ebraico del Ghetto conosciuto come “Piccola Gerusalemme”, ove si trova la Sinagoga fondata nel lontano 1598. All’inizio del XX° secolo, la viticoltura in provincia di Grosseto, come in altre aree del Paese, conobbe un periodo di crisi, con una polverizzazione delle proprietà diretto coltivatrici e diffuse forme di conduzione mezzadrile ma, con i decenni successivi, si moltiplicarono le iniziative di molti proprietari intese a sviluppare una viticoltura più moderna e razionale, anche con l’innesto di nuove cultivar.

Col trascorrere degli anni, la nascita della Cantina Sociale di Pitigliano nel lontano 1954 e il contributo proveniente dall’attività di sperimentazione e di studio condotta sul territorio dalle istituzioni pubbliche e dalle aziende private, si crearono i presupposti per richiedere il riconoscimento della denominazione di origine controllata per il “Bianco di Pitigliano” (sarà il sesto vino italiano a fregiarsi della Doc), col decreto presidenziale del 28 marzo 1966, incentrato sul vitigno tradizionale Trebbiano toscano o Procanico, accompagnato dalle altre varietà Greco, Grechetto, Malvasia bianca lunga e Verdello.

Ma l’attività di sperimentazione e di studio su varietà di vite diverse dal Trebbiano toscano e su metodi di vinificazione più innovativi, non si interruppe col riconoscimento della denominazione di origine, semmai si fece più dinamica, tanto che, grazie anche all’impianto di nuovi vigneti e alla nascita di nuove aziende, i risultati emersi convinsero i produttori dell’area del Bianco di Pitigliano (quasi 25 anni dopo il riconoscimento della Doc), che era necessario aggiornare il disciplinare di produzione, inserendo la versione Spumante e la tipologia Superiore e, tra le varietà complementari, nuovi vitigni più internazionali, come Chardonnay, Sauvignon, Pinot bianco e Riesling; dopo circa 10 anni, infine, la necessità di presentare vini più freschi e profumati e maggiormente strutturati, convinse i produttori che era necessario ridurre la presenza del Trebbiano toscano, introducendo nuove varietà come il Viognier e l’Ansonica, e inserendo anche la tipologia tradizionale Vin Santo, il che è stato sancito con la modifica del disciplinare intervenuta col decreto ministeriale 22.11.2011

Vitigni principali

Quadro di riferimento giuridico: Nella legislazione nazionale
Tipo di condizione supplementare: Disposizioni supplementari in materia di etichettatura
Descrizione della condizione: «Bianco di Pitigliano», «Bianco di Pitigliano» superiore e «Bianco di Pitigliano» spumante: Trebbiano toscano dal 40% al 100%; Greco, Malvasia bianca lunga, Verdello, Grechetto, Ansonica, Chardonnay, Sauvignon, Viognier, Pinot bianco e Riesling italico, da soli o congiuntamente, da 0 a 60%.
Possono concorrere alla produzione di detti vini, fino a un massimo del 15%, le uve a bacca bianca provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la regione Toscana. «Bianco di Pitigliano» Vin Santo: Trebbiano toscano dal 40% al 100%; Greco, Malvasia bianca lunga, Verdello, Grechetto, Ansonica, Chardonnay, Sauvignon, Viognier, Pinot bianco e Riesling italico, da soli o congiuntamente, da 0 a 60%. Possono concorrere alla produzione di detti vini, fino a un massimo del 15%, le uve a bacca bianca provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la regione Toscana.

Nome e titolo del richiedente: Consorzio dei vini D.O.C. Ansonica Costa dell'Argentario, Bianco di Pitigliano, Capalbio, Parrina, Sovana
Status giuridico,dimensioni e composizione (per le persone giuridiche): Associazione interprofessionale di produttori
Nazionalità: Italia
Indirizzo: 73 Viale Marsala
58014 Manciano (GR)
Italia
Telefono: 0039 – 0564.620532
e-mail: cmmaremma@libero.it

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